martedì 15 febbraio 2011

Illuminante

mercoledì 2 febbraio 2011

Re-branding mediterraneo per il marchio USA


Quando nei mesi scorsi la Segreteria di Stato è finita nell'occhio del ciclone mediatico globale per via dell'affaire Wikileaks e i file relativi a report, dossier, colloqui riservati di alti dirigenti preposti alla direzione della diplomazia statunitense hanno trovato posto tra le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, gli USA hanno ad alta voce richiesto la chiusura e sanzioni per il sito di Julian Assange, oltre che l'intervento immediato de l'interpol e l'estradizione del cittadino svedese.
Fatti alla mano, ora che il controverso hacker è nelle mani amiche di Scotland Yard non è difficile immaginare che, tra le seconde e terze file dell'Amministrazione Obama, la sola pronuncia del suo nome possa provocare sentimenti ben diversi.
E' noto come all'indomani della nomina a 44° Presidente degli Stati Uniti, riguardo alla politica internazionale del Paese a stelle e strisce, Barack Obama abbia posto quale stella polare della linea d'azione della sua Amministrazione quella che è stata definita la “politica della mano tesa”.
Mano tesa all'Iran atomico, mano tesa al mondo mussulmano sunnita e sciita anche estremista, richiesta di riforme ai governi autoritari del nord-africa, asprezza e ambiguità con Israele contro la politica di sicurezza e nuovi insediamenti del nuovo Governo Netanyhau, infine appoggio ad Abu Mazen nel tentativo di co-optare Hamas di nuovo all'interno dell'Autorità Palestinese.
Tutto ciò nella convinzione che l'odio viscerale del mondo arabo verso gli States, la terra della democrazia e della libertà, il terrorismo qaedista nascano da un gigantesco equivoco di cui responsabile sarebbe oltre che la destra e i successi militari israeliani anche il pugno duro dei governi sunniti del medio-oriente.
Soprassedendo sugli esiti della “politica della mano tesa” con riferimento al dossier iraniano, oggi che mentre scriviamo la sorte del Presidente egiziano Mubarak, difeso oramai solamente da Israele, scaricato da USA e triade UE (Germania-Francia-UK), appare segnata da un destino non dissimile a quanto di recente capitato al tunisino Ben Alì, oggi che questa protesta di popolo dall'identità anonima cui forzosamente si vuole affibbiare il marchio di protesta giovanile, incendia il nord-africa promettendo di fare altrettanto con il resto del medio-oriente sunnita, avendo per la prima volta – apparentemente - ad oggetto non il conflitto israeliano-palestinese o l'ingerenza statunitense, ma le sorti economiche e civili dei Paesi del medio-oriente allargato, il riposizionamento statunitense sembra essere sulla strada voluta dal Presidente.
Sulla stessa strada tracciata però dai file di wikileaks tanto censurati dal Segretario di Stato Hilary Clinton; e sì perché accanto ai principali eventi che in questi mesi stanno destabilizzando il mediterraneo tutto (ivi compresi i sexy scandali all'”americana” che paralizzano il nostro Paese) non è difficile vedere campeggiare sui principali quotidiani nazionali ed internazionali i file “oracolari” proprio di wikileaks, quasi che il tourbillion mediatico prodotto da Julian Assange abbia fornito agli States la possibilità di sparigliare le carte di una diplomazia finita in un “cul de sac” stretta com'era tra la morsa dei creditore cinese, la permeabilità europea alle lusinghe della Russia sovrana e l'impossibilità a portare ad un qualsiasi tavolo delle trattative israeliani e palestinesi.
Per il medio-oriente allargato quindi una visione democratica occidentale, una visione estratta dai migliori sogni di George W. Bush? El Baradei alla Gandhi? Qualche dubbio sorge.
I fratelli mussulmani confraternita estremista, principale partito di opposizione in Egitto sono espressamente, anche se in sordina, al fianco di El Baradei. Il Premio Nobel già a capo dell'AIEA, Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, che nel dossier iraniano è stato da più parti accusato di doppiogiochismo, nella sua corsa alla Presidenza egiziana iniziata nelle piazze de Il Cairo, non ha esitato ad accogliere dalla sua parte proprio gli estremisti islamici. I simpatizzanti del would-be President egiziano disegnano stelle di David sui ritratti di Mubarak rendendo alla loro piazza un immagine non distante dalle tante piazze anti-israeliane che affollano il medio-oriente, dov'è quindi la novità?.
Tutto ciò lascia presagire che se anche la cacciata di dittatori come Mubarak (e prima Ben Alì) avvenga o sia avvenuta con successo, i Paesi da essi liberati difficilmente potranno essere avocati ad un destino di stabilità e democrazia di stampo occidentale, vale la pena ricordare l'esito delle libere elezioni nei Territori Palestinesi: maggioranza assoluta ai fondamentalisti islamici filo iraniani di Hamas.
Ma tali preoccupazioni non sembrano prevalere all'interno dell'Amministrazione Obama, nella sua ansia di fiancheggiare la protesta anti-Mubarak, apparendo essa in politica estera effettivamente ispirata più che dalla realpolitik, dalla realizzazione di disegni affascinanti dal sicuro impatto mediatico benché dotati di una certa dose di astrazione, del resto un po' come la filosofia animatrice di siti come wikileaks.
Lo stesso Presidente americano si è espresso in favore del popolo egiziano in rivolta (e dell'espressione della sua volontà, sic), se questo schema venisse applicato in tutto il medio-oriente, non è escluso che il mondo tutto (Israele e l'Europa per prime) diverrebbe in breve un posto certamente meno sicuro: wikileaks o non wikileaks, non sarebbe la prima volta per gli americani, nella loro bella e proverbiale ingenuità, che con il fine di risolvere problemi finiscano per farli esplodere.