martedì 25 novembre 2008

Il Venezuela dopo le elezioni amministrative


“Il popolo ha dimostrato che noi godiamo qui di un sistema democratico”, così, dopo essersi congratulato con l’opposizione, il Presidente venezuelano Hugo Chavez ha commentato l’esito delle amministrative. La tornata elettorale che ha chiamato alle urne più di 17 milioni di persone per eleggere 22 governatori, 328 sindaci e centinaia di consiglieri regionali e municipali, segna però un'altra fase di stallo nel suo progetto per il compimento della rivoluzione “bolivarista” e per tutto il suo disegno socialista.
Chavez infatti proclama la vittoria, il suo partito, il (Psuv) ha vinto in 17 dei 22 Stati, ma l’opposizione ha conquistato due degli Stati chiave più popolosi, Zulia e Miranda, riuscendone a mantenere il controllo ottenuto alle elezioni di quattro anni fa.
Lo Stato di Miranda, confinante con il distretto di Caracas, era il punto chiave della battaglia simbolo della sfida elettorale, quella tra un importante alleato di Chávez, Diosdado Cabello, contro un conosciuto anti-chavista, Henrique Capriles e oltre ad esso l’opposizione ha conquistato almeno altri due Stati: la regione della capitale, il ''Distretto Federale'' e la poltrona di sindaco della città di Caracas, dove la battaglia elettorale era tutta in salita.
Il risultato elettorale era chiamato ad avere riflessi significativi a livello nazionale giacché dopo la sconfitta di Chavez nel referendum costituzionale del dicembre 2007, referendum che avrebbe dovuto consegnargli poteri senza limiti, il Presidente non aveva nascosto l’intenzione di riproporre, sotto altra veste, le proposte più contestate dall’opposizione e bocciate poi dal voto popolare tra cui il provvedimento che gli avrebbe permesso di rimanere al potere anche oltre il termine del presente mandato che spirerà nel 2012.
Se la contesa elettorale doveva misurare i rapporti di forza tra Chavez e l’opposizione, il risultato può essere considerato un pareggio che a ben vedere incoraggia proprio quest’ultima. L’aver perso la municipalità di Caracas obbligherà infatti il Presidente ad una maggiore cautela, pena il possibile e probabile inasprirsi della protesta e tensioni politiche al limite del sostenibile.
Non va dimenticato come proprio Caracas fu nel novembre e nel dicembre del 2007 il palcoscenico per l’esplosione della protesta studentesca, una protesta capace di far salire all’attenzione della popolazione indigena e dei media di tutto il mondo il carattere antidemocratico del regime di Chavez, una protesta in grado di dare all’opposizione un nuova generazione di leader, poi tristemente finiti sotto oscuri atti criminali commessi da sicari dietro cui più di qualcuno ha visto il Presidente nella veste di mandante.
Il periodo antecedente alle elezioni è stato caratterizzato da una tensione più volte uscita fuori controllo. Nelle scorse settimane Chavez aveva minacciato i leader dell’opposizione di arresto e in uno degli Stati chiave aveva annunciato la sua volontà, avesse vinto l’opposizione, di tirare fuori i carri armanti per difendere il suo governo e tutto questo dopo aver avvertito che in caso di vittoria delle forze “counterrevolutionaries” egli non avrebbe esitato a tagliare i fondi alle municipalità che se ne fossero rese protagoniste.
Nella prima parte dell’anno, con modalità discutibili, il controllore generale del Presidente aveva escluso dalle elezioni centinaia di candidati, per la maggior parte dell’opposizione, con accuse di corruzione oppure opponendo irregolarità amministrative, esclusione che aveva finito per interessare un serio candidato alla vittoria nella municipalità di Caracas e il candidato alla poltrona di Governatore dello Stato di Miranda, naturalmente entrambi dell’opposizione.
A simbolo di questa stagione della tensione nella politica venezuelana ha finito per assurgere il giovane dissidente dell’università cattolica Yon Goicoechea, protagonista della rivolta studentesca liberale e non violenta del 2007, sottoposto lui e la sua famiglia a pressioni, un discredito mediatico che gli è valso una caricatura fumettistica sulla TV di Stato come “traditore” per aver incassato il premio Milton Friedman “For Advancing Freedom” di $500.000 dal Cato Institute ed a seguire minacce per la sua incolumità fisica.
I complimenti di Chavez all’opposizione suonano quindi, nel migliore dei casi, obbligati e frutto di una debolezza politica che cresce dopo il recente abbandono della coalizione di governo da parte di una formazione di sinistra. A fallire quindi è anche il suo disegno di mobilitare il popolo avverso alle forze da lui definite “counterrevolutionaries”, divenendo a questo punto pressoché inevitabile per il perseguimento del suo progetto un colpo di mano ovvero ad un appeasment e quindi alla rinuncia che però difficilmente si addicono al personaggio.
Ma da domani, il primo ostacolo che il Presidente si troverà di fronte sarà quello di una opposizione che necessariamente avrà ritrovato la sua unità anti-governativa e con una maggiore capacità mediatica e di relazioni necessariamente connesse alla presa della poltrona di sindaco di Caracas, una opposizione sempre più attenta a vigilare contro un eventuale colpo di mano, di cui sino ad ora notoriamente ha assurto alla funzione di garante una importante fetta dell’esercito.

Giampiero Ricci

mercoledì 12 novembre 2008

Bush 2008



Quest'uomo è un Eroe: ha tentato di votare G.W. per la terza volta!

venerdì 7 novembre 2008

Disonestà intellettuale senza confini



ROMA - "In Italia il figlio di un immigrato Keniota sarebbe ancora a fare la fila per il permesso di soggiorno. In America invece diventa presidente". (Agr)



Il Re dei paradossi adesso si propone sul panorama politico nazionale come il riformatore.

Il principale rappresentante del filone politico culturale che nel recente passato ha costituito il collante tra il conservatorismo intransigente del più recalcitrante sindacato nazionale, quella CGIL che si oppone in tutti i modi alla mutazione genetica della scuola e dell'università da "stipendificio" a luogo di formazione, adesso viene a dare lezioni di americanismo al paese!

E già caro Presidente D'Alema perché "tutto è possibile" - come di ce Obama - negli Stati Uniti perché lì esiste un sistema scolastico, di College e universitario che sa fondere sapientemente pubblico e privato in nome del merito: si chiama possibilità di scegliere, ovvero LIBERTA'.
Una cosa che nel nostro Paese è negata principalmente dalla capacità di mobilitazione proprio della CGIL, il cui azionista di maggioranza è il suo partito, il PD.
Incredibile.

Adesso conosciamo qualcosa di più sulla sostanza del Partito Democratico: la simpiatia di Dario Franceschini, la disonestà intellettuale di Massimo D'Alema, mixate con il cerchiobottismo veltroniano.
Non male.

giovedì 6 novembre 2008

La fine di un epoca



Finisce così un epoca, tra le lacrime dei cronisti della CNN che annunciano commossi la vittoria di Obama, il riconoscimento bipartisan di Mc Cain, il saluto istituzionale di G.W. Bush.


Una storia iniziata nei pionieristici e visionari anni '60 di Barry Goldwater e degli albori del fusionismo, quando uomini come W.F. Buckley fondando giornali come il National Review attorno alle parole d'ordine "no al collettivismo", "no alla secolarizzazione", davano il là alla riscossa del mondo conservatore contro il dominio culturale democratico, proprio nel maggiore momentum di Lyndon Johnson.
Allora l'asinello imperversava per il paese a stelle e strisce in modo simile a quanto sin a ieri è stato per il Grand Old Party dell'era di G.W. Bush.

Si consegna ai libri anche una recente stagione della politica americana e del partito dell'elefantino durante la quale qualcuno aveva creduto di riuscire a tenere in vita la spinta rivoluzionaria degli anni del reaganismo attraverso un coerente impianto ideologico "post-imperialista".

Non è stato così.

La visione NeoCon di una Repubblica che lentamente si faceva Impero controllando la periferia grazie alla sua deterrenza militare e al dollaro debole è crollata più che per il peso del dissenso all'invasione irachena o per il dissolversi delle banche d'affari americane, per l'impossibilità del sistema economico reale americano di "fare da solo", di reggere il peso della leadership globale unicamente sulle proprie spalle.

Solamente il 10% dei votanti, a questo turno delle presidenziali, ha pensato all'Iraq come primo motivo nella scelta elettorale, per il 62% era la questione economica il primo issue dell'agenda.

La società americana, schiacciata nella morsa del crescente costo del petrolio (sceso solo di recente a livelli ragionevoli), nell'impossibilità di continuare a tenere il dollaro così debole per trainare esportazioni e l'importazione di utili in euro (pena la nascita della moneta unica dei petrodollari nel golfo persico e la crescente disaffezione nei confronti del dollaro come moneta di riserva nel circuito internazionale delle valute) è così arrivata al redde rationem.
Il brusco risveglio dalla sogno di un'economia che si voleva per definizione in crescita sempre oltre il 4% consegna gli USA alla presa di coscienza della impossibilità di riuscire a sostenere un debito pubblico che, al di là della spesa militare, copre salti nel buio costati miliardi di dollari, dollari finiti bruciati in nome di un "diritto alla casa" per tutti, coperto e garantito da aziende parastatali oggi tristemente note in tutto il mondo, come Fanny Mae e Freddie Mac, costituite per garantire accessibilità di credito anche a chi non doveva accedervi.

Per i democratici sarà piuttosto semplice la scelta. Un disimpegno sullo scacchiere internazionale mascherato da concessioni multilateraliste e "storiche" aperture (leggi Iran, Cuba e Venezuela) per alleggerire il costo della presenza militare e di intelligence americana nel mondo, oltre che un massiccio intervento fiscale e statale per continuare nel solco della nuova era di New Deal roosveltiano paradossalmente spalancata proprio dal Presidente Bush avallando il Bailout del Segretario di Stato Robert Paulson.
Per la dirigenza politica del GOP non basterà probabilmente la grinta della Sarah Palin o il recupero di Rudy Giuliani a sciogliere il groviglio di nodi che ingessano il dialogo tra le quattro anime del partito.
I libertarians hanno assistito negli ultimi anni ad un continuo arretramento dalla piattaforma liberista con cui era stato formato il primo gabinetto di G.W. Bush, i nazionalisti non hanno potuto avere la riforma dell'immigrazione che attendevano ed hanno dovuto assistere al risorgere della potenza russa senza che lo Zio Sam potesse muovere dito, i Neo Con sono costretti a riposizionare la loro visione del mondo giacché il paese ha dimostrato di non volerla seguire, la Christian Coalition è certamente l'anima più in salute ma la sua visione del GOP che il leader Huckabee ha mostrato nelle primarie spaventa la base per ricordare troppo da vicino un idea di Repubblican Party alla CDU tedesca.
Nodi non di poco conto che necessitano passaggi lunghi, lunghi probabilmente almeno una generazione, un tempo in cui il paese e il mondo intero saranno lì a verificare le concrete conseguenze del "Change" che Barack Obama ha promesso al mondo.

Ma Obama è italiano?

La domanda è bizzarra ma da quanto si legge nelle dichiarazioni dei nostri politici sembra che alla fine il Presidente USA agisca al fianco dell'opposizione di questo Paese.
Grandi feste, proclami, rivendicazioni di ideali condivisi. Definire tutto questo provincialismo è fare un complimento ad una parte della politica evidentemente con un'identità molto debole che ha bisogno di guardare altrove per darsi un significato invece di guardarsi allo specchio.
Non tralasciamo il fatto che il neo Presidente Obama sui temi etici è molto distante da quel Partito Democratico che lo continua a vedere come lo specchio di quel cambiamento che la compagine di Veltroni pensa di aver portato in Italia.

mercoledì 5 novembre 2008

Ohio

Mc Cain avanti negli exit poll dell'Ohio.
Che mi ricordi nessun Presidente è stato eletto senza aver preso l'Ohio.
Mc Cain è avanti anche in Indiana ma viene dato indietro in Virginia.

martedì 4 novembre 2008

Obama Santo Subito

Su Sky ad America 2008 l'inviato nel paese keniota del padre di Obama si giura che se lui vincerà si porrà fine alle violenze tribali

Effetto Bradley

Rischi di sollevazioni popolari in Ohio. Qualunque sia il risultato. Almeno quì il voto razziale pare essere stato sottostimato.
Mc Cain chiede una proroga dei termini per il voto in Virginia, viceversa avvocati avvocati avvocati e quindi voto non definito: pare la macchina elettorale sia andata in tilt.
C'è un sondaggio che da Mc Cain avanti anche il Pennsylvania di dodici punti! Dubbi.

Don Imus in collegamento sulla FOX


Il controverso presentatore radiofonico già al centro di polemiche e sanzionato con la sospensione della sua trasmissione per una serie di controversi commenti a sfondo razziale ha appena ribadito come non vi sia modo di sottovalutare il valore storico di queste elezioni. L'atmosfera si scalda.

La lunga notte americana


La tornata elettorale americana del 2008 inizia con la FOX che parla di intimidazioni da parte delle Black Panthers in Philadelphia e notizie di diffusi problemi nella macchina elettorale un po' per tutto il Paese.
Un buon inizio ? Potrebbe portare bene.
Certo bisognerà vedere i primi dati sull'affluenza alle urne...chi l'ha detto che sarebbe una buona notizia per Obama una grande affluenza alle urne...Roark vuole vederli gli Stati centrali dell'Unione andare in massa al seggio per votare pro Obama...se vince (e con ogni probabilità Barack vince) non sarà per l'affluenza alle urne.

sabato 1 novembre 2008