giovedì 6 novembre 2008

La fine di un epoca



Finisce così un epoca, tra le lacrime dei cronisti della CNN che annunciano commossi la vittoria di Obama, il riconoscimento bipartisan di Mc Cain, il saluto istituzionale di G.W. Bush.


Una storia iniziata nei pionieristici e visionari anni '60 di Barry Goldwater e degli albori del fusionismo, quando uomini come W.F. Buckley fondando giornali come il National Review attorno alle parole d'ordine "no al collettivismo", "no alla secolarizzazione", davano il là alla riscossa del mondo conservatore contro il dominio culturale democratico, proprio nel maggiore momentum di Lyndon Johnson.
Allora l'asinello imperversava per il paese a stelle e strisce in modo simile a quanto sin a ieri è stato per il Grand Old Party dell'era di G.W. Bush.

Si consegna ai libri anche una recente stagione della politica americana e del partito dell'elefantino durante la quale qualcuno aveva creduto di riuscire a tenere in vita la spinta rivoluzionaria degli anni del reaganismo attraverso un coerente impianto ideologico "post-imperialista".

Non è stato così.

La visione NeoCon di una Repubblica che lentamente si faceva Impero controllando la periferia grazie alla sua deterrenza militare e al dollaro debole è crollata più che per il peso del dissenso all'invasione irachena o per il dissolversi delle banche d'affari americane, per l'impossibilità del sistema economico reale americano di "fare da solo", di reggere il peso della leadership globale unicamente sulle proprie spalle.

Solamente il 10% dei votanti, a questo turno delle presidenziali, ha pensato all'Iraq come primo motivo nella scelta elettorale, per il 62% era la questione economica il primo issue dell'agenda.

La società americana, schiacciata nella morsa del crescente costo del petrolio (sceso solo di recente a livelli ragionevoli), nell'impossibilità di continuare a tenere il dollaro così debole per trainare esportazioni e l'importazione di utili in euro (pena la nascita della moneta unica dei petrodollari nel golfo persico e la crescente disaffezione nei confronti del dollaro come moneta di riserva nel circuito internazionale delle valute) è così arrivata al redde rationem.
Il brusco risveglio dalla sogno di un'economia che si voleva per definizione in crescita sempre oltre il 4% consegna gli USA alla presa di coscienza della impossibilità di riuscire a sostenere un debito pubblico che, al di là della spesa militare, copre salti nel buio costati miliardi di dollari, dollari finiti bruciati in nome di un "diritto alla casa" per tutti, coperto e garantito da aziende parastatali oggi tristemente note in tutto il mondo, come Fanny Mae e Freddie Mac, costituite per garantire accessibilità di credito anche a chi non doveva accedervi.

Per i democratici sarà piuttosto semplice la scelta. Un disimpegno sullo scacchiere internazionale mascherato da concessioni multilateraliste e "storiche" aperture (leggi Iran, Cuba e Venezuela) per alleggerire il costo della presenza militare e di intelligence americana nel mondo, oltre che un massiccio intervento fiscale e statale per continuare nel solco della nuova era di New Deal roosveltiano paradossalmente spalancata proprio dal Presidente Bush avallando il Bailout del Segretario di Stato Robert Paulson.
Per la dirigenza politica del GOP non basterà probabilmente la grinta della Sarah Palin o il recupero di Rudy Giuliani a sciogliere il groviglio di nodi che ingessano il dialogo tra le quattro anime del partito.
I libertarians hanno assistito negli ultimi anni ad un continuo arretramento dalla piattaforma liberista con cui era stato formato il primo gabinetto di G.W. Bush, i nazionalisti non hanno potuto avere la riforma dell'immigrazione che attendevano ed hanno dovuto assistere al risorgere della potenza russa senza che lo Zio Sam potesse muovere dito, i Neo Con sono costretti a riposizionare la loro visione del mondo giacché il paese ha dimostrato di non volerla seguire, la Christian Coalition è certamente l'anima più in salute ma la sua visione del GOP che il leader Huckabee ha mostrato nelle primarie spaventa la base per ricordare troppo da vicino un idea di Repubblican Party alla CDU tedesca.
Nodi non di poco conto che necessitano passaggi lunghi, lunghi probabilmente almeno una generazione, un tempo in cui il paese e il mondo intero saranno lì a verificare le concrete conseguenze del "Change" che Barack Obama ha promesso al mondo.

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