domenica 26 aprile 2009

Stop spending our future

http://www.youtube.com/watch?v=yREOUxo6Qdc

E' un allarmante, ma onesto, video apparso su Reason TV. Il video consente una comprensione oculare della follia interventista partita negli States sul finire dell'ultimo mandato Bush ed amplificata esponenzialmente da tra bailouts e ”stimulus” vari dall'Amministrazione Obama: un spesa governativa che supera ampiamente il Piano Marshall, la Seconda Guerra Mondiale e il New Deal roosveltiano.
Si regga chi può.

martedì 21 aprile 2009

Washington: scoperta la bufala del furto telematico del progetto del super-caccia






Se avete letto la notizia non vi preoccupate, se non l'avete letta leggetela di sotto e comunque non preoccupatevi lo stesso, nessuna violazione del segreto militare o furto telematico da parte dei cinesi: Mr. Obama ha dato le carte del progetto in cambio delle figurine di Mao. E' tutto a posto.


Ora fate un bel sorriso che Barack ci deve parlare.
YES WE CAN!

http://www.corriere.it/esteri/09_aprile_21/bombardiere_pirati_piano_9de27ad6-2e52-11de-8b9e-00144f02aabc.shtml

mercoledì 15 aprile 2009

Che siano le europee a venire accorpate al referendum


La Lega ha grandi e storici meriti rintracciabili soprattutto nel suo essere riuscita a scardinare l'incartapecorito vecchio sistema della partitocrazia, nell'aver imposto nell'agenda politica del Paese il tema del federalismo, nell'aver tutto sommato esercitato il suo ruolo di partito regionale con dosi alterne di responsabilità, ma comunque mediamente utili ad una composizione pacifica di tensioni realmente esistenti dentro il Paese.

Ma Oggi?

Bè c'è da chiedersi quale ruolo ambisca a ricoprire: maturare in un partito regionale alla CSU bavarese, portare la spinta autonomista alle estreme conseguenze, semplicemente campare della rendita politica forte di essere diventata lei il famigerato "ago della bilancia".

Visto l'approccio demagogico e irrazionale in materia di immigrazione e soprattutto il tipo di papocchio di federalismo che si è riusciti a votare, anche e soprattutto grazie all'accordo della Lega con il PD, pare di capire che sia la terza opzione, quella più prosaica, che la Lega voglia esercitare.

Insomma dimentichiamoci il liberismo (a dire il vero di liberismo Bossi non parla da almeno 5 anni) e il federalismo della prima ora, adesso va bene una riforma che entri in vigore tra dieci anni e che semplicemente preveda un grado di perequazione tra le regioni uguale a quello di oggi: il grande successo leghista sarebbe quindi di aver portato il budget dello Stato nel capitolo dei trasferimenti locali dal costo storico al costo previsionale, un tecnicismo di cui ci si può entusiasmare con difficoltà e che però diventa utile a reintrodurre dalla finestra un'altra tassa, la nuovissima Imposta sulla Casa che manda in brodo di giuggiole Calderoli perché significa soldi nelle casse della amministrazioni provinciale leghiste. Ancora una nuova imposta contro il diritto alla proprietà del cittadino che proprio questo Governo ha mostrato di voler tutelare con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa: schizofrenia.

Roark era per il modello lombardo, quello di Formigoni, secondo cui andavano lasciate alle Regioni percentuali importanti di IVA, IRES e IRPEF, di pari passo con la devoluzione delle competenze già costituzionalmente avviata.

Ma tant'è appare chiaro che alla Lega, fondamentalemente, di tutto ciò non freghi nulla, l'importante è poterlo dire: ecco il federalismo ovvero a noi la borsa.

La domanda è: di questa Lega da domani, il PDL ha bisogno?
Fino a prima del disastro del terremoto a tratti sembrava di essere tornati agli Odg di bandiera, quando il Parlamento era costretto a votare e riunirsi per decidere sull'ultimo capriccio del Segretario di partito del momento. Dove il partito del momento è la Lega.
E allora perché no l'accorpamento con le europee?
Votare l'accorpamento con le europee anche in barba ai niet leghisti potrebbe al più portare alla caduta del Governo e quindi a nuove immediate elezioni anticipate da tenersi con una nuova legge ottenuta dal referendum e con il risultato del probabile ridimensionamento sostanziale del peso leghista.
Se il Governo invece, come probabile, reggesse anche all'indomani di un eventuale passaggio del quesito referendario la Lega sarebbe sempre sotto lo schiaffo di un possibile mancato apparentamento alle future politiche e sarebbe probabilmente costretta a rivedere la sua strategia magari tornando ad occuparsi di riforme vere piuttosto che della deriva doroteista cui la sua evoluzione odierna sembra riportare: perdere tempo in Parlamento per dover sottostare ai diktat sull'introduzione delle ronde (?) o discutere del fatto che l'immigrato in ospedale debba essere denunciato dal medico, non interessa in primis agli stessi abitanti del Nord Italia, con tutto il rispetto ci sono questioni economico-sociali ben più importanti.
NO. Il PDL ha un mandato chiaro dal suo elettorato, riformare in senso liberale e conservatore lo Stato italiano, nei contenuti e nelle istituzioni, per questo disegno è strutturale il bipartitismo.

Non c'è Lega che tenga, quel che di essa rimarrà potrà sempre allearsi con il PDL ma senza ricatti.

VIVA IL REFERENDUM, VIVA IL SI'.


giovedì 9 aprile 2009

"Yes we can...disarm?"


"Yes we can...disarm?" scrive in un editoriale sul Washington Post Anne Applebaum, il ritorno dal viaggio in Europa del Presidente Obama è stato condito da più di un interrogativo da parte degli addetti ai lavori sulla direzione che il Paese a stelle e strisce sta prendendo in politica estera.

Ma da parte degli addetti ai lavori...perché quanto all'elettorato, un recentissimo sondaggio del New York Times, ripreso sul noto sito di attualità politica americana realclearpolitics.com, dà il Presidente con un indice gradimento che oscilla tra il 61 e il 66%.

La politica delle "scuse", così come è stata ribattezzata, asseconda gli istinti isolazionisti di una classe media americana rinfrancata dall'accanimento fiscale contro i più abbienti, categoria in cui l'opinione pubblica frustrata da una pesantissima recessione, vede i responsabili del disastro finanziario.

Ma al di là degli effetti di un pur legittimo populismo, che nel caso di specie può servire a tenere unita una società provata, restano pur sempre sul tavolo e tutte, le perplessità sollevate sulla svolta alla politica internazionale che la nuova Casa Bianca, non solo a parole ma nei fatti, ha cominciato ad imprimere.

Che da un Governo democratico bisognasse aspettarsi una maggiore focalizzazione sul versante del Pacifico era nelle cose, già dal primo Governo Clinton fu evidente come la dirigenza democratica, storicamente portatrice in economia di dollaro forte e crescita economica sostenuta anche se a discapito del budget e del debit0, fosse interessata a intercettare tale crescita nelle economie emergenti delle tigri asiatiche, nel rapporto privilegiato con la Corea del Sud, nell'alleato giapponese e soprattutto nell'assecondamento della inevitabile crescita cinese.

A tale visione sembra uniformarsi il nuovo Segretario di Stato, Hillary Clinton, quello che gli osservatori internazionali non hanno però mancato di sottolienare è che durante il G20 di Londra si è assistito però ad un rovesciamento delle parti: adesso è la Cina che asseconda gli Stati Uniti d'America non per la crescita bensì per la sopravvivenza.
Il prezzo pagato da Washington per far sì che Pechino continui a comprare buoni del tesoro americani è stato infatti quello di concedere al Governo cinese l'aumento graduale in seno al FMI dei diritti speciali di prelievo: in pratica l'ufficialità dell'incremento dell'influenza cinese all'interno della principale istituzione finanziaria mondiale.

Se alla decretazione della crescita del potere cinese globale, si unisce l'apertura indiscriminata a Teheran che butta al mare decenni di opposizione e dissidenza nel Paese degli Ayatollah, l'allargamento delle trattative politiche in Afghanistan ai Talebani - quelli moderati (?) - la fretta di lasciare un Iraq sulla strada della pacificazione, l'abbraccio alla Russia autoritaria di Medvedev in nome di un nuovo disarmo nucleare con l'implicita rinuncia alla politica della deterrenza, la visione di un'Europa che interessa solo che fagocita dentro di sé la Turchia scaricando così gli States di responsabilità nel rapporto con il mondo islamico, l'interrogativo di Anne Applebaum ("Yes we can...disarm?") appare pertinente.

Quello che il Presidente Obama deve ancora dimostrare è che la politica della mano tesa porti realmente ad una maggiore stabilità sullo scacchiere internazionale e senza che gli U.S.A. finiscano per liquidare la propria influenza nel mondo nel lampo di una generazione: in fin dei conti, come da qualcuno è stato rilevato, nel 1939 non esisteva alcuna minaccia nucleare e gli Stati Uniti stavano per i fatti propri, eppure finì come sappiamo.