giovedì 29 ottobre 2009
venerdì 23 ottobre 2009
Se salta il coperchio al pentolone del Ministrone
"Sui conti pubblici linea del rigore", peccato che a dire ciò sia il Ministro dell'Economia che dopo gli anni '80 ne ha osservato il maggiore deterioramento in un lasso temporale tutto sommato ristretto. Roba da inflazione in doppia cifra! D'accordo la Crisi ma il Ministrone è riuscito con la sua ricetta del parlare socialista e di incensare il nostro sistema economico-assistenziale nell'invidiabile risultato di aver ereditato un debito pubblico al 106% ed in meno di due anni di averlo portato oltre il 115%, viaggiando dritto dritto verso il 120%.
Per onestà intellettuale, bisognerebbe ricordare come nel 1992 il debito pubblico italiano era al 137,50% e che con enormi sforzi al prezzo di una crescita asfittica che ci ha fatto perdere importanti punti in competitività eravamo riusciti a portarlo quasi sotto la soglia del 100%, un risultato storico.
Ebbene con le ricette tremontiane che piacciono tanto alla Lega (che in fatto di finanza del resto vanta successoni imprenditoriali nel sistema bancario di cui ancora si parla) siamo riusciti in neanche due anni a mangiarci i risultati di quasi diciassette anni di sacrifici.
Sul piano politico abbiamo rinnegato le nostre radici culturali per la "rivoluzione liberale" in favore di una visione para-liberale, sostanzialmente corporativa secondo la quale la stabilità viene prima di tutto.
MA QUALE STABILITA'?
Il Ministro dell'Economia ha scritto un bel libro, un successo editoriale, ma vive sulla luna.
La società italiana viaggia su un pentolone in ebollizione che non salta solamente in virtù dell'innalzamento del deficit e quindi del debito.
Se non vogliamo raccontarci favole esistono solo tre ricette: quella autarchica dello stato di polizia tributaria alla sceriffo di Nottingham (Visco per intenderci), la bancarotta argentina o la ricetta thatcheriana-reaganiana, via centri di costo (esternalizzare funzioni come la spesa previdenziale o quella sanitaria), indietro lo Stato (privatizzare il privatizzabile, inserire concorrenza laddove esistono ancora monopoli specie nei comparti economici occupati dalle aziende municipalizzate), giù le tasse, più libertà economiche per spingere la crescita e pagare i debiti. Poi anche le coperture giavazziane vanno bene, ma tertium non datur.
Ma si sa nella battaglia politica va tutto bene, quello che non va bene sono le parole che contraddicono i fatti, in discussione caro Ministrone non è certo il rigore sui conti pubblici, pesantemente compromesso da scelte di facciata e belle parole, bensì la tenuta economica nel breve e medio periodo del Paese, se salta il coperchio al pentolone vattelapesca poi la stabilità.
domenica 18 ottobre 2009
Not Evil Just Wrong
"Not Evil Just Wrong" è un film che dice cose scomode sulle presunte verità di Al Gore in barba al verbo hollywoodiano.
Spiega in termini pratici i costi umani dell'isteria scatenatasi attorno al presunto surriscaldamento globale e alla fine dei tempi che starebbe per arrivare per colpe umane.
Spiega come la propaganda catastrofista genererà un incremento di tasse che finirà per gravare sulle famiglie proprio nel momento in cui queste sono costrette ad affrontare le asprezze della Crisi economica più dura dalla Grande Depressione.
Gli accoliti di Al Gore vogliono vietare l'uso dei combustibili fossili producendo così un disastro economico capace di spostare ulteriormente l'ago della bilancia dello sviluppo globale a favore di paesi come l'India e la Cina.
"Not Evil Just Wrong" è un modo di resistere, di oltrepassare il muro di gomma del mainstream del circo mediatico, da sempre incline a prendere per oro colato ogni assalto al valore dell'essere umano in quanto tale ed a propagandare un idea di umanità=male che tende a negare la innata vocazione a creare valore, benessere, armonia dell'uomo in un mondo creato per che esso ne sia centrale.
Questo è il trailer, non è per elites illuminate, è per tutti noi, uomini e donne in carne ed ossa.
lunedì 5 ottobre 2009
Della crisi economica Ayn Rand aveva già previsto tutto
Pubblicato su www.loccidentale.it 2/10/2009
Aziende che falliscono una dietro l’altra, difficoltà nell’assicurare servizi che sino a ieri si davano per scontati, come i trasporti o il gas, l’acqua, la luce; uno Stato e dei Governi che si sostituiscono agli individui nel gioco economico; un mondo della cultura piegato ad una visione nihilista e ad una gara allo svilimento del valore dell’uomo.
Bisogna essere molto ottimisti per dirsi che non ci sia qualcosa degli incubi oscuri che si nascondevano dentro la mente di Ayn Rand quando scriveva “La Rivolta di Atlante” e “La Fonte Meravigliosa”, negli sviluppi che è dato osservare dalla Crisi in cui l’occidente si è impantanato.
Esule russa che fuggiva dalla follia sovietica, arrivò nel paese a stelle e strisce e vide un America che cambiava pelle, che si interrogava sul suo futuro e si preparava ad affrontarlo senza paura; la crisi del ’29 e la guerra, il successo, il benessere e poi però il crescere di una deriva collettivista che la preoccupava per la possibilità che essa aveva in sé di spegnere il sogno americano e la vocazione libertaria degli States: l’unica nazione nella storia ad essere diventata tale attorno ad un’idea, quella della libertà e del benessere dell’individuo.
Il fatto è che nel suo romanzo capolavoro, un romanzo che resta ancora oggi tra i libri più venduti negli Stati Uniti d’America e che è stato eletto il secondo libro più influente, dopo la Bibbia, fregiandosi della nomina da parte della Boston Public Library tra i cento libri più importanti del XX secolo, il fatto è che “Atlas Shrugged” (“La rivolta di Atlante”, Mondadori, Volume I – Il Tema - pagg. 378, Volume II – L’Uomo che apparteneva alla terra - pagg. 395, Volume III – L’Atlantide - pagg. 515), le sequenze di film che stanno andando in onda nelle nostre vite - le file davanti alle banche per ritirare i contanti, le serrande semichiuse dei fallimenti improvvisi - tutto questo in “Atlas Shrugged” è ritratto doviziosamente e con decenni d’anticipo ma non solo, Ayn Rand preconizzò e già da allora (il romanzo è del ) lo sbocco della crisi di un sistema capitalistico piegato dall’avidità dello Stato e di uomini malvagi (naturalmente in combutta), uno sbocco luminoso.
Ayn Rand previde un tempo in cui sotto il peso del loro fallimento, gli Stati sarebbero stati costretti ad occuparsi esclusivamente della sicurezza e dell’amministrazione della giustizia, uno Stato dalla leva fiscale volontaria e poco più che avrebbe finito per finanziarsi attraverso la cooperazione volontaria degli uomini, una società completamente – o quasi – privatizzata dove il ceto politico fosse ridotto, o meglio ricondotto, alla sua antica ispirazione di fucina di amministratori pro-tempore della cosa pubblica.
Ma al di là della scommessa sul futuro di una autrice scomparsa nel 1982 e divenuta da subito molto più che una scrittrice, le analogie tra il nostro tempo e le profezie di Ayn Rand non sono sfuggite all’acume commerciale della casa editrice iUniverse che ha deciso di mandare in ristampa il libro di Frederick Cookinham, “The Age of Rand: Imagining an Objectivist future world” (2005, pagg. 488).
Cookinham si sforza di trovare i legami tra il passato, il presente e il futuro narrati nelle storie di Ayn Rand e il posto, in una prospettiva storica, del suo pensiero: la filosofia dell’Oggettivismo.
L’autore immagina un mondo che scorra come la Rand lo aveva immaginato, esaminando differenti implicazioni sotto il profilo sociale. Il tutto è naturalmente basato su una fantasia utopica, ma supportato con esempi presi da eventi storici e trend di lungo periodo.
Momento centrale del libro, come dell’opera della filosofa dell’oggettivismo è l’analisi della vera natura dell’altruismo “di Stato”, in una tensione a smascherare l’inganno dietro il solidarismo a buon prezzo contrapposto all’egoismo virtuoso di aristotelica memoria.
Un lavoro scorrevole e non necessariamente consigliabile solo ai già lettori dei libri di Ayn Rand, che scoperchia, come riesce, una ipotesi di futuro che per la logica socialdemocratica è simile ad un incubo ultra-liberista, per i liberali una bella utopia, per i libertari un sogno.
Nel 1964 durante una celebre intervista al Magazine Playboy, Ayn Rand a domanda rispose
"Do I think that Objectivism will be the philosophy of the future? I would say yes, but…not right now.”,
Per Cookinham invece il futuro è adesso.