venerdì 28 maggio 2010

Il Superministro


Il Superministro





Pubblicato su www.lapiazzaditalia.it, 28/05/2010

“Questa crisi è un tornante della storia” e il nostro Superministro dell'Economia si è messo in testa di guidare il Paese nel gruppo dei primi a tornare al centro della carreggiata.
Non c'è che dire, superando senza colpo ferire le voci della propaganda politica, il coro è unanime, l'Italia è tra i Paesi che meglio stanno affrontando il “curvone”.
Non importa che tu sia tra quelli che Tremonti ha definito mercatisti, che tu sia uno statalista, un socialista, un pragmatico conservatore o un liberista di sinistra, la Crisi innescata dal default della Grecia ha messo impietosamente a nudo tre fattori.
Il debito pubblico conta (e l'Italia come noto possiede il terzo al mondo) ma a contare ancor di più sono il debito nazionale aggregato (pubblico e privato); le prospettive a breve del deficit e la capacità di produrre “cose” e non fuffa, di un Sistema Paese.
Il fatto è che il Ministro dell'Economia italiana questa previsione qui la fece anni or sono, suffragandola di una serie di pubblicazioni di successo, non da ultimo il best seller internazionale “La Paura e la Speranza” e per tali ragioni negli ambienti finanziari delle cancellerie europee è visto ormai quasi come un guru.
Chiamato dalla Germania a consiglio sul da farsi dopo gli errori e gli orrori del Governo Merkel nei giorni del collasso di Atene, coccolato dal Frankfurter Allgemeine e considerato dal The Economist, un qualcosa di impensabile sino a ieri per un uomo di Governo italiano.
I suoi più inveterati avversari politici, i mercatisti, sebbene nascosti spesso allignati all'interno della sua stessa fazione poltica, con la prospettiva di un Euro in discesa rispetto al dollaro nel medio periodo e quindi di un ulteriore miglioramento della bilancia dei pagamenti, parlano sotto voce di possibile capolavoro tremontiano, quello di tenere il deficit sotto controllo, ridurre il peso degli interessi del debito e prendersi la ripresa trainata dalla ripartenza delle esportazioni.
Perché l'Italia quanto a debito aggregato rivaleggia con la Francia, sta meglio del Regno Unito e degli USA e riesce a vedere la Germania, il suo deficit è sotto controllo e resta la seconda sponda manifatturiera dell'intera Unione Europea.
E siamo al giorno d'oggi: c'è bisogno di un intervento per consolidare la buona accoglienza da parte dei mercati sulla politica economica restrittiva del Governo, l'unico gioverà ricordarlo e rendergli merito, ad essersi tappato le orecchie quando ululavano le sirene dello “Stimolo” allo sviluppo, tutte esperienze rivelatesi autentici giri di denaro per la discarica della storia economica: eccola qui la manovra correttiva da 25 miliardi di Tremonti che mette - seppur timidamente - a dieta i costi della politica e della burocrazia e cerca la sua strada nella lotta all'evasione.
Blocco dei salari pubblici, riduzione, seppur di poco di quelli più alti, tagli di 4 miliardi nel 2001 e 7 miliardi nel 2012 alla spesa senza controllo delle regioni che ora i soldi dovranno trovarli o attraverso tagli di spesa oppure con nuove tasse contro un prezzo politico che i nuovi Governatori difficilmente vorranno pagare, inasprimento delle sanzioni (compresa l'ineleggibilità) per gli amministratori che bucano l'obiettivo, limite alle assunzioni.
Taglio ai rimborsi elettorali, abolizione di enti inutili, taglio orizzontale alle spese della pubblica amministrazione. Una manovra che si propone come seria, prova ne sia l'ennesimo sciopero generale della CGIL.
Molto ancora da fare invece sulle pensioni, la cui spesa è mitigata dalla riduzione degli scivoli in uscita, molto ancora da fare sulla promessa elettorale di cancellazione delle provincie osteggiata duramente però dal vero partito della spesa presente in Parlamento, la Lega, con l'unico particolare che il parere di Bossi è dirimente per la tenuta della maggioranza.
Dobbiamo quindi aspettarci un futuro con strade, ponti, piazze, statue equestri intitolate al Superministro dell'Economia italiano?
Può darsi.
Molto dipenderà dall'esito del federalismo fiscale, unica versa riforma strutturale che il Governo sembra avere in animo e possa realmente varare nella legislatura.
Resta il fatto che al tornante della storia Tremonti potrebbe ritrovarsi al volante di una delle poche macchine che puntano al traguardo.

lunedì 24 maggio 2010

Un libello sulla libertà di stampa di Mark Twain


Un libello sulla libertà di stampa di Mark Twain pubblicato su loccidentale.it 23/05/2010 http://htxt.it/2okh

Grazie ad una piccola casa editrice di Prato, Piano B Edizioni, arriva nelle librerie un piccolo libello contenente una serie di brevi saggi inediti di Mark Twain, “Libertà di stampa” (2010, pagg. 117), occasione preziosa per osservare attraverso le lenti della storia e non piegati ad una logica strumentale di scontro politico, un tema centrale per la crescita culturale di una autentica opinione pubblica: il ruolo del giornalismo nella società.

Samuel Langhorne Clemens, al secolo Mark Twain (1835-1910), visse gli anni della costruzione dell'opinione pubblica americana, un evento che si sviluppò di pari passo al consolidarsi istituzionale, economico e politico di tutta la nazione; del creatore de “Le avventure di Huckleberry Finn” Hemingway dirà “Tutta la letteratura moderna statunitense viene da un libro di Mark Twain Huckleberry Finn. ... tutti gli scritti Americani derivano da quello. Non c'era niente prima. Non c'era stato niente di così buono in precedenza”.

Oltre ai meriti letterari va detto che Twain fu uno dei protagonisti di quel periodo che giova sempre ricordarlo valse non solo la tenuta dell'Unione nord-americana uscita fuori dalla Guerra di Indipendenza dall'Impero Inglese ma anche la prova compiuta che all'interno del concerto delle nazioni democrazia e libertà potevano diventare un opzione possibile.

Quegli Stati Uniti pullulavano di giornali locali che dovevano accompagnare con le loro notizie gli avventurieri per i viaggi attraverso la frontiera, il tutto in uno scenario che peccava di infrastrutture inesistenti o alla meglio approssimative, al punto da necessitarsi giorni e giorni per attraversare il Paese; ma i giornali dovevano uscire quotidianamente e così lo sforzo richiesto ai giornalisti sconfinava oltre il limite del fatto in una gara cialtronesca ma creativa ad inseguire anche solo parole riportate per chilometri e chilometri e passate di testa in testa.

Il libello, con racconti come “Giornalismo nel Tennessee” o “Come diressi un giornale per agricoltori”, aiuta a ricostruire quelle pittoresche e paradossali situazioni attraverso lo sguardo sarcastico e malinconico di uno dei padri della letteratura statunitense, ci racconta quell'epoca e quella parte di industria giornalistico-editoriale artigianale e rudimentale di testate schiacciate su tagli parossisticamente grevi, testate che crescevano tumultuosamente per poi con la stessa velocità finire nell'oblio e il tutto accadeva mentre nascevano e prendevano piede invece, altri giornali, che ancora oggi fanno la notizia negli States e nel mondo.

Gustoso “Un candidato governatore” dove l’autore racconta di un suo tentativo di cimentarsi in politica per la carica di governatore nello Stato di New York, finito nella farsa sotto i colpi delle deliberate e totalmente infondate accuse della stampa nemica, giunta alle peggiori offese e capace di mobilitare gentaglia pronta alle vie di fatto, al punto da spingere Twain a decidere di ammainare bandiera per difendere la propria onorabilità.

Nei racconti su quella stagione del giornalismo americano il rapporto con il lettore viene ricondotto con ironia a qualcosa di pericolosamente vicino, di minaccioso, con il lettore sempre dietro l'angolo pronto a farsi giustizia per vendicare in un modo o nell'altro torti patiti per la pubblicazione di una notizia o l'altra: per l'autore di “Le avventure di Tom Sawyer” e di libri come “Il Principe e il Povero”, “Un Americano alla corte di Re Artù”, “Vita sul Mississippi” alla fine la libertà di stampa si addice solamente ai trapassati. Proprio così.

Nel suo breve saggio “Il privilegio dei morti: sulla libertà d’espressione”, il grande americano arriva a sostenere come la libertà di parola sia posseduta soltanto come vuota formalità: chi la possiede sa di poterne fare uso ma non può essere considerato come un effettivo possesso ed in quanto tale il suo esercizio è assimilabile a quello di un omicidio: “si può esercitarlo solo se si è disposti a sopportarne le conseguenze”, con la differenza che l’omicidio a volte è punito, la libertà di parola sempre.

Furono gli anni dei mandati presidenziali di Thomas Jefferson ma anche delle riforme economiche di Alexander Hamilton, anni di scontri politici e di interessi accesi tra il primo partito democratico ed il partito federalista, fazioni in lotta acerrima eppure capaci di tenere insieme un New England industriale e il sud rurale, aprendo all’avventura della frontiera, il volto letterario di questo periodo fu Mark Twain di cui restano indelebili le pagine perché capace di votarsi ad una fedele ricostruzione dell'umanità varia e spesso molesta, costituita alla fin fine da gente semplice ma profondamente nobile che fu protagonista di quella stagione, così facendo si aprì la strada ad una forma di umanesimo moderna e dalle enormi potenzialità, con capacità di diffusione e di comprensione globale, qualcosa che ancora oggi il romanzo americano non sa dimenticare di poter esprimere.

venerdì 7 maggio 2010

Crisi del debito sovrano europeo, per l'Italia una luce in fondo al tunnel










La crisi economico finanziaria greca ha innescato un drammatico meccanismo mediatico-speculativo che rischia di travolgere non solo l’Euro bensì l’intero sistema economico sociale del continente già provato dagli esiti del Credit Crunch americano.
Così ci dicono gli scontri e le vittime di Atene, così ci dicono le gravi turbolenze dei mercati sui titoli bancari italiani scatenate dai dubbi di Moody’s e così ci dicono anche le incertezze politiche addirittura nella ultracentenaria democrazia britannica alle prese dopo decenni con un parlamento dalla maggioranza incerta.
La vicenda è nota, i conti pubblici greci furono taroccati sin dall’entrata di Atene nella moneta unica, l’Amministrazione pubblica del Paese si dimostra non più in grado di far fronte ai propri impegni e prossima al default senza l’intervento degli organismi finanziari internazionali e dei Paesi principali dell’Unione Europea.
Poi il balletto di Berlino intorno all’opportunità dell’intervento a sostegno del debito di un altro Stato dell’Unione, a causa della rivolta di un elettorato tedesco prossimo ad una delicata consultazione elettorale che si sente tradito dalla solenne promessa ante adesione all’Euro del sistema politico che solennemente aveva garantito che mai la Germania - a causa dell’entrata nella moneta unica - si sarebbe trovata a dover pagare per debiti di altri.
Il tutto per un messaggio arrivato forte e chiaro ai mercati finanziari globali: il debito sovrano dei Paesi europei con i conti fuori controllo non è più una fonte sicura di investimento, meglio vendere.
Contro queste grida di allarme le proposte della Merkel al Bundestag di rivedere il patto di stabilità fondativo dell’Euro, di chiedere a creditori ed investitori istituzionali di mostrarsi disposti ad allungare le scadenze dei titoli del tesoro greco, di introdurre nel patto dell’Euro una sorta di procedura fallimentare per gli Stati in default, non hanno fatto altro che aumentare l’incertezza.
Il mondo finanziario nel mentre il comparto bancario europeo, Italia e UK compresi, finisce sotto attacco, si chiede: la Germania vuole guidare l’Unione Europea dall’alto della solidità della sua economia o vuole tornare ad uno dei suoi sogni proibiti: l’Europa a due velocità, due monete, una buona (quella sua) e una cattiva?
In un batti baleno i paesi affettuosamente definiti P.I.G.S. (maiali) dalla stampa economica britannica, Portogallo-Irlanda-Grecia-Spagna (la “I” è stata solo di recente tolta all’Italia per essere consegnata all’Irlanda), ovvero quelli con il peggior rapporto tra Attivo su Debito pubblico e privato, sono entrati nel mirino delle agenzie di rating più spregiudicate, agenzie, giova ricordare, legate a doppia mano alla finanza statunitense di area democratica (leggi i vari George Soros) votata al sostenimento del dollaro il cui apprezzamento risulta essere fondamentale per riequilibrare un bilancio della Federal Reserve tragicamente appesantito dai bailout e dagli allegri programmi di spesa dell’Amministrazione Obama.
Da una parte quindi il necessario deprezzamento dell’Euro nei confronti del dollaro, adesso che l’economia interna statunitense dimostra segni di ripresa che potrebbero bilanciare la diminuzione delle esportazioni e quindi della crescita cui si andrebbe necessariamente incontro a causa un dollaro più forte, dall’altra la difesa dell’euro forte, baluardo contro la crescita dei tassi di interesse dei Paesi europei schiacciati da enormi debiti pubblici, in un braccio di ferro che rischia nel lungo termine di travolgere i rapporti euro-atlantici.
Una crisi originale questa cui assistiamo, giocata su grandezze aggregate che includono anche il peso dell’indebitamento dell’economia privata e non solo i numeri della finanza pubblica, valutati più che altro sulla capacità dei rendimenti dei titoli del tesoro dei vari Stati di rimanere il più agganciati possibile ai tassi dei titoli del tesoro tedeschi.
La Spagna ha reagito positivamente proprio in questi giorni con un’asta di titoli del tesoro andata tutta venduta e con uno spread sul bund tornato a scendere dopo le pericolose oscillazioni delle ultime volte, ma Madrid sarà presto chiamata a dimostrare di poter assorbire una disoccupazione vicina al 21%; al Portogallo i mercati l’hanno già giurata con un declassamento che appare dietro l’angolo per le medesime ragioni della Grecia (fatta salva la falsificazione dei conti) ovvero una economia priva di dinamicità sul versante produttivo; sull’Irlanda il giudizio resta sospeso per via della grande elasticità dell’economia di Dublino nonché al grande potenziale di crescita della pressione fiscale che l’Irlanda tuttora possiede; quindi la Gran Bretagna con un deficit ancora stabilmente a doppia cifra, un incerta tenuta del sistema finanziario ed una situazione politica che rischia di complicare maledettamente le cose, ma pur sempre la patria della City; infine noi, l’Italia.
La notizia è che, paradossalmente un’Italia capace di uscire indenne dalla turbolenza, capace cioè di riuscire a mantenere stabili i suoi fondamentali che parlano di un deficit già sotto il 4% dal prossimo anno e al 2,75 nel 2012, con un fabbisogno finanziario che negli ultimi 4 mesi è calato di 6,6 mld di Euro (-15% circa) e uno spread sui bund tedeschi sotto il punto percentuale (0,8), un rapporto tra attivo e debito aggregato tra i più competitivi in occidente (per via del bassissimo debito privato), potrebbe davvero essere prossima a cogliere la strada della ripresa e della crescita per via del deprezzamento dell’Euro che diverrebbe un autostrada privilegiata per un industria dell’esportazione ritornata di recente a trainare in positivo la bilancia dei pagamenti dopo che nell’ultimo decennio con estrema fatica è riuscita a riconvertirsi e a fare a meno delle svalutazioni competitive per vincere la sfida sui mercati: l’industria delle esportazioni non potrebbe che cogliere in pieno l’opportunità di un Euro debole trainando positivamente tutta l’economia del Paese (che resta il secondo Paese manifatturiero dell’Unione Europea) finalmente fuori dalle forche caudine della crescita zero cui l’Italia dovette piegarsi per inseguire il risanamento dei conti pubblici già a partire dal 1992.
Ma c’è un ma, l’Italia deve riuscire a non rimanere travolta dall’inevitabile effetto domino che si scatenerà attorno al default tecnico della Grecia, il nostro Paese per via del suo debito pubblico e della sua immagine di convalescente, resta uno dei fronti che la speculazione internazionale potrebbe attaccare, prova ne sia la gratuita aggressione al sistema bancario italiano (notoriamente solidissimo) cui si è assistito.
Tempestivamente il Ministro dell’Economia ha comunicato una manovra aggiuntiva per mettere nel cassetto gli obiettivi di bilancio, una manovra che appare corretta, come del resto, anche agli occhi dei più critici, appare essere stata lungimirante ed ineccepibile la strategia di Tremonti del patto di stabilità con gli enti locali, del no agli stimoli all’economia e dei denti digrignati in faccia a chiunque chieda soldi. Dovesse avverarsi lo scenario migliore per il belpaese, un posto nella storia di questo Paese non potrà toglierglielo nessuno.
Alla possibilità che non dovessimo reggere l’impatto della speculazione non vogliamo neanche pensare.

Pubblicato su www.lapiazzaditalia.it
http://www.lapiazzaditalia.it/Economia_72/Crisi%20del%20debito%20sovrano%20europeo_1292.html