venerdì 7 maggio 2010

Crisi del debito sovrano europeo, per l'Italia una luce in fondo al tunnel










La crisi economico finanziaria greca ha innescato un drammatico meccanismo mediatico-speculativo che rischia di travolgere non solo l’Euro bensì l’intero sistema economico sociale del continente già provato dagli esiti del Credit Crunch americano.
Così ci dicono gli scontri e le vittime di Atene, così ci dicono le gravi turbolenze dei mercati sui titoli bancari italiani scatenate dai dubbi di Moody’s e così ci dicono anche le incertezze politiche addirittura nella ultracentenaria democrazia britannica alle prese dopo decenni con un parlamento dalla maggioranza incerta.
La vicenda è nota, i conti pubblici greci furono taroccati sin dall’entrata di Atene nella moneta unica, l’Amministrazione pubblica del Paese si dimostra non più in grado di far fronte ai propri impegni e prossima al default senza l’intervento degli organismi finanziari internazionali e dei Paesi principali dell’Unione Europea.
Poi il balletto di Berlino intorno all’opportunità dell’intervento a sostegno del debito di un altro Stato dell’Unione, a causa della rivolta di un elettorato tedesco prossimo ad una delicata consultazione elettorale che si sente tradito dalla solenne promessa ante adesione all’Euro del sistema politico che solennemente aveva garantito che mai la Germania - a causa dell’entrata nella moneta unica - si sarebbe trovata a dover pagare per debiti di altri.
Il tutto per un messaggio arrivato forte e chiaro ai mercati finanziari globali: il debito sovrano dei Paesi europei con i conti fuori controllo non è più una fonte sicura di investimento, meglio vendere.
Contro queste grida di allarme le proposte della Merkel al Bundestag di rivedere il patto di stabilità fondativo dell’Euro, di chiedere a creditori ed investitori istituzionali di mostrarsi disposti ad allungare le scadenze dei titoli del tesoro greco, di introdurre nel patto dell’Euro una sorta di procedura fallimentare per gli Stati in default, non hanno fatto altro che aumentare l’incertezza.
Il mondo finanziario nel mentre il comparto bancario europeo, Italia e UK compresi, finisce sotto attacco, si chiede: la Germania vuole guidare l’Unione Europea dall’alto della solidità della sua economia o vuole tornare ad uno dei suoi sogni proibiti: l’Europa a due velocità, due monete, una buona (quella sua) e una cattiva?
In un batti baleno i paesi affettuosamente definiti P.I.G.S. (maiali) dalla stampa economica britannica, Portogallo-Irlanda-Grecia-Spagna (la “I” è stata solo di recente tolta all’Italia per essere consegnata all’Irlanda), ovvero quelli con il peggior rapporto tra Attivo su Debito pubblico e privato, sono entrati nel mirino delle agenzie di rating più spregiudicate, agenzie, giova ricordare, legate a doppia mano alla finanza statunitense di area democratica (leggi i vari George Soros) votata al sostenimento del dollaro il cui apprezzamento risulta essere fondamentale per riequilibrare un bilancio della Federal Reserve tragicamente appesantito dai bailout e dagli allegri programmi di spesa dell’Amministrazione Obama.
Da una parte quindi il necessario deprezzamento dell’Euro nei confronti del dollaro, adesso che l’economia interna statunitense dimostra segni di ripresa che potrebbero bilanciare la diminuzione delle esportazioni e quindi della crescita cui si andrebbe necessariamente incontro a causa un dollaro più forte, dall’altra la difesa dell’euro forte, baluardo contro la crescita dei tassi di interesse dei Paesi europei schiacciati da enormi debiti pubblici, in un braccio di ferro che rischia nel lungo termine di travolgere i rapporti euro-atlantici.
Una crisi originale questa cui assistiamo, giocata su grandezze aggregate che includono anche il peso dell’indebitamento dell’economia privata e non solo i numeri della finanza pubblica, valutati più che altro sulla capacità dei rendimenti dei titoli del tesoro dei vari Stati di rimanere il più agganciati possibile ai tassi dei titoli del tesoro tedeschi.
La Spagna ha reagito positivamente proprio in questi giorni con un’asta di titoli del tesoro andata tutta venduta e con uno spread sul bund tornato a scendere dopo le pericolose oscillazioni delle ultime volte, ma Madrid sarà presto chiamata a dimostrare di poter assorbire una disoccupazione vicina al 21%; al Portogallo i mercati l’hanno già giurata con un declassamento che appare dietro l’angolo per le medesime ragioni della Grecia (fatta salva la falsificazione dei conti) ovvero una economia priva di dinamicità sul versante produttivo; sull’Irlanda il giudizio resta sospeso per via della grande elasticità dell’economia di Dublino nonché al grande potenziale di crescita della pressione fiscale che l’Irlanda tuttora possiede; quindi la Gran Bretagna con un deficit ancora stabilmente a doppia cifra, un incerta tenuta del sistema finanziario ed una situazione politica che rischia di complicare maledettamente le cose, ma pur sempre la patria della City; infine noi, l’Italia.
La notizia è che, paradossalmente un’Italia capace di uscire indenne dalla turbolenza, capace cioè di riuscire a mantenere stabili i suoi fondamentali che parlano di un deficit già sotto il 4% dal prossimo anno e al 2,75 nel 2012, con un fabbisogno finanziario che negli ultimi 4 mesi è calato di 6,6 mld di Euro (-15% circa) e uno spread sui bund tedeschi sotto il punto percentuale (0,8), un rapporto tra attivo e debito aggregato tra i più competitivi in occidente (per via del bassissimo debito privato), potrebbe davvero essere prossima a cogliere la strada della ripresa e della crescita per via del deprezzamento dell’Euro che diverrebbe un autostrada privilegiata per un industria dell’esportazione ritornata di recente a trainare in positivo la bilancia dei pagamenti dopo che nell’ultimo decennio con estrema fatica è riuscita a riconvertirsi e a fare a meno delle svalutazioni competitive per vincere la sfida sui mercati: l’industria delle esportazioni non potrebbe che cogliere in pieno l’opportunità di un Euro debole trainando positivamente tutta l’economia del Paese (che resta il secondo Paese manifatturiero dell’Unione Europea) finalmente fuori dalle forche caudine della crescita zero cui l’Italia dovette piegarsi per inseguire il risanamento dei conti pubblici già a partire dal 1992.
Ma c’è un ma, l’Italia deve riuscire a non rimanere travolta dall’inevitabile effetto domino che si scatenerà attorno al default tecnico della Grecia, il nostro Paese per via del suo debito pubblico e della sua immagine di convalescente, resta uno dei fronti che la speculazione internazionale potrebbe attaccare, prova ne sia la gratuita aggressione al sistema bancario italiano (notoriamente solidissimo) cui si è assistito.
Tempestivamente il Ministro dell’Economia ha comunicato una manovra aggiuntiva per mettere nel cassetto gli obiettivi di bilancio, una manovra che appare corretta, come del resto, anche agli occhi dei più critici, appare essere stata lungimirante ed ineccepibile la strategia di Tremonti del patto di stabilità con gli enti locali, del no agli stimoli all’economia e dei denti digrignati in faccia a chiunque chieda soldi. Dovesse avverarsi lo scenario migliore per il belpaese, un posto nella storia di questo Paese non potrà toglierglielo nessuno.
Alla possibilità che non dovessimo reggere l’impatto della speculazione non vogliamo neanche pensare.

Pubblicato su www.lapiazzaditalia.it
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