giovedì 22 luglio 2010

USA, la favola è finita


Pubblicato su www.lapiazzaditalia.it http://htxt.it/6wSF

Mentre passa anche la riforma del sistema finanziario, un misto di iper-regolamentazione e devoluzione di maggiori poteri alla Fed con annessa creazione nel suo seno di una fantomatica “Agenzia di protezione dei consumatori”, la popolarità di Barack Hussein Obama non è mai andata così giù: sei americani su dieci si dicono convinti che il Paese sotto l’amministrazione Obama stia andando nella direzione sbagliata.
E dire che l’inquilino di Pennsylvania Avenue è riuscito ad approvare la sua, almeno in parte, riforma del sistema sanitario, si è disimpegnato dall’Iraq e si è buttato a testa bassa sull’Afghanistan, il mega stimolo all’economia da mille miliardi di dollari che aveva promesso è stato varato, l’economia a stelle e strisce, cresce, non tantissimo, ma cresce (3/3,5) a tassi che comunque da questa parte dell’Atlantico non si ricordano da anni.
Ma tant’è nonostante la pomposa ufficialità quasi da trionfo bellico nell’annunciare il passaggio della riforma del sistema finanziario, nei sondaggi gli americani sembrano aver fatto spallucce a BHO.
Il tracollo d’immagine di colui che un tempo veniva affettuosamente chiamato “The Man” pare difficile da interrompere.
Tutto comincia in una giornata d’inizio estate allorché il rotocalco di rock e costume “The Rolling Stone” racconta attraverso un suo inviato di uno sfogo da bar del capo delle operazioni militari in Afghanistan Stanley Mc Christal con alcuni quadri dell’esercito alla presenza del giornalista insider. Ne escono di cotte e di crude, sull’incompetenza di Biden, il vicepresidente, ma soprattutto il ritratto di un Presidente impaurito che chiede timidamente consigli e non sa dove metter le mani, preoccupato più che altro di concertare un romanzo fotografico convincente dell’incontro alla Casa Bianca con il nuovo comandante in capo delle operazioni militari in Afghanistan.
La notizia fa il giro del web in un istante e sui blog conservatori statunitensi campeggia il motto “Stanley 2012”, il Presidente ha una reazione isterica capace di amplificare la portata dell’accaduto e porta in breve Mc Christal alle dimissioni tra le tensioni tra Casa Bianca e apparati militari.
Poi l’attacco a Wall Street che i più dicono concertato per far dimenticare l’incidente Mc Christal e rilanciarsi in chiave elezioni di mid-term, oramai vicinissime (novembre prossimo), elezioni che non lasciano presagire nulla di buono prevedendosi il passaggio di almeno di una delle camere ai repubblicani, un partito quello dell’elefantino dei giorni d’oggi privo di un leader e di un programma ma con l’unico merito di aver mostrato dall’inizio scetticismo sulle reali capacità di un Presidente fotogenico e carismatico ma pure sempre inesperto in fatto di amministrazione della cosa pubblica.
Sullo sfondo il petrolio della BP che senza pietà inonda le coste della Louisiana senza che il gabinetto del Presidente riesca a trovare una soluzione che una per giorni e giorni dopo che Obama era stato uno dei più fieri aggressori politici del G.W. Bush incapace di reagire tempestivamente all’arrivo dell’uragano Katrina sempre sulle stesse sfortunate coste.
Il Presidente è all’angolo e il suo “Change” lascia disincantati, i più vi vedono oramai solamente l’ennesima riedizione democratica del classico Tax and Spending che affoga l’economia.
Se il disastro della BP o la figuraccia con Mc Christal spingono ai minimi la popolarità di Obama, la sua rielezione ed ancor prima il risultato delle prossime elezioni di mid-term non sarà però certamente determinato da tali fatti, i cittadini americani restano una delle democrazie più mature del pianeta e non decidono di cambiar colore misurando la propria amministrazione sulla base di disastri naturali di cui non si è responsabili o sulla base di uno scandalo qualsiasi, la verità è che il giudizio che verrà sull’amministrazione Obama verterà su tre precisi punti, punti che egli stesso aveva messo davanti all’elettorato quando si candidò: i risultati sull’occupazione della ricetta da mille miliardi di dollari obamiana; i risulati della guerra ad Al-Qaeda in Afghanistan e Pakistan; la riforma sanitaria.
Il fatto è che durante l’amministrazione di BHO l’occupazione è salita di poco più di 400.000 unità lavoro e per di più sulla base di contratti temporanei, causa – dicono gli osservatori – lo scoraggiamento delle imprese costrette a gestire una prospettiva di incremento di tasse sinora sconosciuta che sarà necessaria per dare la copertura finanziaria ai programmi e le riforme del Presidente.
In Afghanistan gli Stati Uniti hanno assunto una chiara leadership ma le ondate degli attacchi contro talebani e qaedisti paiono perdersi nelle brume delle montagne dell’Hindukusch e quello che è chiaro è che la vittoria militare continua ad essere lontana, mentre il rischio di una ritirata strategica (perché non dire chiaramente che di sconfitta si tratta) è dietro l’angolo.
Quanto alla riforma sanitaria essa nonostante sia stata varata all’italiana (la legge nei suoi aspetti salienti entrerà in vigore solamente nel 2014) ha scatenato un genuino moto di ribellione in un Paese preoccupato dall’esplosione di un deficit e di un debito pubblico che dopo gli interventi obamiani appaiono fuori controllo.
La favola del Presidente predestinato appare essere terminata, quel che è certo è che da domani ad Obama per mantenere e guadagnare credito con l’elettorato non basterà più il proverbiale magnetismo ma servirà un qualche risultato.

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