sabato 31 luglio 2010

Se detta legge il "pecunia non olet"


Ffwebmagazine - Se detta legge il "pecunia non olet"

Pubblicato su ffwebmagazine.it il 31/7/2010

La crisi del debito sovrano europeo sembra volgere al dimenticatoio tra i respiri di sollievo di mezzo mondo, risolta non dall'intervento governativo dei principali paesi europei quanto dalle comunicazioni pro euro della Repubblica Popolare di Cina. Dittature o modelli autoritari più o meno sanguinari o dal volto amico in giro per il mondo sfoggiano la loro immagine vincente contro un modello democratico che “non risolve”, che mostra difficoltà. Che già da tempo sia caduta l'illusione degli anni “clintoniani” di un occidente che possa godere a proprio piacimento della crescita delle grandi economie emergenti del pianeta non è una novità e nel Vecchio e Nuovo Mondo ogni questione di principio oggi appare derubricata ad un “pecunia non olet” sillabato stancamente da vecchie nobiltà produttive in decadenza.

Quello di Putin è solo paternalismo e non ci mette più in imbarazzo, il Venezuela il cui caudillo soffoca con il pugno di ferro ogni pur minimo anelito di libertà diventa metà di pellegrinaggi e simpatiche intese, l'Iran oramai sono anche i russi ad ammettere sia a un passo dall'atomica, ma la sua economia val bene una messa e meglio tenere sotto osservazione Israele si sa mai! La saggia Cina che oltre alle parole continua ad armarsi e a tenere sotto scacco il Far East attraverso il caro presidente, che Dio la preservi!

Un balletto che non comincia da oggi si dirà, ma un libro del 2008 di Robert Kagan, pubblicato in Italia da Mondadori, Il ritorno della storia e la fine dei sogni messianicamente poneva come tema centrale, nella contemporanea stagione geopolitica di ritorno ottocentesco al gioco delle nazioni, proprio lo scontro tra neo-autoritarismo e democrazie liberali e le sue conseguenze. Possiamo dirci con franchezza che il primo sta abbondantemente vincendo e che non sarà l'austerity cerchio-bottista prolungata a tempo indefinito a rendere ancora una volta vincente lo stile di vita, il modello di progresso, in breve la nostra civiltà.
Al punto che verrebbe da interrogarsi intorno ai pruriti che agitano non poche cancellerie euro-atlantiche, se l'autoritarismo non cominci a costituire quasi un modello di crescita o di sviluppo e soprattutto se anche nel nostro emisfero una certa condiscendenza verso qualche dose crescente di pressione autoritaria possa ben essere accettata.

Del resto non bisogna per forza rimanere appiccicati a vicini o lontani, piccoli o grandi manifestazioni di fastidio democratico, già nel lontano 1997 infatti illustri economisti come J. Rogers Hollingsworth e Robert Boyer, pubblicando Contemporary Capitalism, Cambridge teorizzavano come non esista un modello migliore degli altri per la moderna organizzazione della società contemporanea con l'immancabile corollario gridato a squarciagola: il mercato non deve poter essere considerato lo strumento ideale e universale per coordinare l'attività economica.

Le istituzioni economiche del capitalismo hanno una grande varietà di obiettivi e di strumenti che sono complementari e non possono vivere isolate l'un l'altra, i Sistemi-Paese hanno forze e debolezze e le loro istituzioni si evolvono secondo la logica specifica di ciascuna società: in teoria relativismo filosofico politico, in pratica ricerca del “coordinatore” perfetto. Il “mercato” quindi non deve poter essere considerato lo strumento ideale e universale per coordinare l'attività economica (ergo sociale): ma il “mercato” non era il luogo della cooperazione volontaria degli individui? Attraverso di esso non veniva assicurata l'auto-gestione di rapporti sociali liberi? La libertà non anticipa il progresso? Niente affatto meglio il coordinatore perfetto, una guida illuminata, qualcuno che coordini la complessità delle nostre istituzioni, su chi debba poi ergersi a tale responsabilità non è dato sapere: è sufficiente l'investitura democratica? C'è bisogno d'altro?

Poi arrivano le bolle, le crisi e la Crisi e la visione ideale del “mercato” viene venduta per un affarismo asfittico, soppiantata in Europa e in Italia dall'ennesima Controriforma senza mai aver avuto la Riforma, e a passare è anche il convincimento che la politica, i governi possano/debbano fare “qualcosa”, debbano intervenire, realizzandosi così lo straordinario risultato di entrare a gamba tesa sullo sforzo intellettuale e fisico – in breve umano – di trovare nuove strade, nuove vie di crescita e sviluppo che gli individui di mezzo mondo mettono in campo per riportare il treno sul binario. Che entrare a gamba tesa nella vita delle persone – anche con il miglior proposito – oltre a essere sbagliato non convenga neanche politicamente, è probabilmente qualcosa di cui Barack Obama dovrà prendere atto nelle prossime elezioni di mid-term, a seguire gli altri governi.

Un vecchio adagio la lotta per fare in modo che l'operato dei governi e delle burocrazie statali non incida oltre il minimo comun denominatore fissato dalla tutela dei diritti naturali, un adagio però alla base del successo della nostra civiltà, a partire dalla sua genesi sulle sponde elleniche fino ai contemporanei e postmoderni giorni del polpo Paul. Un adagio che racconta di un individuo che mette in sequenza logica e comportamento al fine del raggiungimento di un obiettivo che possa rappresentare per esso un successo qualsiasi, grande o piccolo che sia, senza che intervenga qualcosa o qualcuno a dire come/perché/se il traguardo debba essere raggiunto, quale scaglione di merito esso debba ricoprire o quanto sia eticamente corretto: quando la morale di fondo rovescia questa logica è dietro l'angolo qualcosa o qualcuno legittimato prima o poi a dirci in nome della mitologica figura politica “popolo”: “L'état c'est moi”.

Nessun commento: