sabato 20 dicembre 2008

La sfida di Yon


colloquio con Yon Goicoechea di Giampiero Ricci


Il Venezuela negli ultimi anni è divenuto un laboratorio politico sotto continua osservazione e non solo per essere il terzo Paese al mondo per risorse petrolifere. Da una parte il Governo del Presidente Hugo Chavez che si batte per trasformare la società secondo il suo personalissimo “Socialismo del XXI secolo” ovvero il tentativo di rinnovare l’esperienza comunista cubana di Castro, dall’altra una società civile legata ad istituzioni democratiche consolidate, che lotta pacificamente per il rispetto delle proprie libertà e per impedire il consolidamento di una dittatura.
La battaglia politica si respira giorno per giorno, in ogni momento, soprattutto per le strade dove si trovano i gazebo dei chavisti che sostengono la propaganda per gli emendamenti costituzionali proposti dal Presidente, ma dove si incontrano anche studenti che hanno già ricominciato azioni di protesta e manifestazioni, gli stessi studenti protagonisti della sonora sconfitta di Chavez nel dicembre 2007 allorché il Presidente si presentò alle urne con la sua prima proposta di riforma e fu costretto ad accettare il responso delle urne solamente grazie all’intervento dell’esercito.
Il terreno dello scontro è continuamente accidentato da interventi governativi autoritari, estensione forzosa del controllo sui media, minacce ai dissidenti che legittimano moralmente le violenze cui facilmente si abbandonano frange radicali, la creazione di un esercito del Presidente fuori della tradizionale catena di comando, ricerca continua di alleanze internazionali militari in chiave anti-occidentale.
Così mentre sono state appena chiuse le recenti amministrative di novembre, già ci si prepara all’ennesima battaglia elettorale perché il Presidente Hugo Chavez ha da poco annunciato che attraverso l’iniziativa dell’Assemblea Nacional, riproporrà, per il Febbraio prossimo una riforma costituzionale che preveda ancora una volta l’eleggibilità senza limiti di mandati per un Presidente eletto.
Incontriamo Yon Goicoechea, studente dell’Università Cattolica, Presidente dell’Istituto Metropolitano de la Iuventute e leader del movimento studentesco venezuelano protagonista dell’inaspettato NO del 2007, una riforma che allora prevedeva oltre alla rieleggibilità a tempo indeterminato del Presidente, anche la nazionalizzazione della Banca Centrale, limitazioni del diritto alla proprietà e alla pluralità di espressione politica.
Signor Goicoechea può raccontarci come tutto ebbe inizio?

Tutto cominciò durante le discussioni politiche nelle diverse università del Paese cui seguì la decisione di stabilire una relazione duratura tra i diversi leader delle università, un network tra di noi per discutere della situazione politica.
Iniziò come un esercizio accademico ma dopo la chiusura della RCTV, la più grande rete televisiva in Venezuela, una rete privata, che fu chiusa dal Presidente Chavez perché giudicata non in linea con il proprio pensiero “rivoluzionario” e perché la linea della TV era una linea di opposizione al Governo in carica, dopo la chiusura della RCTV, ci riunimmo e andammo tutti in strada a dimostrare il nostro disaccordo sulla decisione, realizzammo l’importanza e il potere che i giovani hanno in una società, così decidemmo di creare un Parlamento Nazionale degli Studenti ed invitammo tutti i rappresentanti di tutte le Università del Venezuela.
In Venezuela noi abbiamo questa situazione speciale per cui l’estrema destra ha perso tutti i rappresentanti nelle Università e in tutte le Università i rappresentanti sono di centro-destra, centro-sinistra o anche centro, così fu davvero facile riunirci tutti quanti contro la proposta di emendamento della Costituzione; decidemmo di confrontarci con la proposta di Chavez e organizzammo 45 dimostrazioni, marce, in Caracas e simultaneamente in altre otto città del Venezuela, le maggiori, la più grande fu di 200.000 mila persone, la più piccola di 10.000 .
Ci rendemmo garanti della regolarità del referendum, entrando nei seggi come osservatori.

Quale fu il messaggio che diffondeste nel Paese?

Libertà, la voglia di considerarla un fenomeno umano che va oltre l’idea di libertà puramente economica, io penso che la strategia di comunicazione del liberalismo nel mondo di oggi sia errata e ciò è dovuto alla eccessiva concentrazione tenuta sul fenomeno economico, la libertà è molto di più di un fenomeno economico, è importante naturalmente che esista un sistema economico imperniato sulla libertà, ma la libertà ha a che fare anche con la natura umana, con il riconoscimento che le persone possono essere diverse; noi difendiamo il valore della libertà nel suo significato più ampio di rispetto delle idee degli altri. Noi difendiamo la libertà, lo Stato di diritto, la non discriminazione e la libertà di espressione.
Difendiamo l’idea di riconciliazione in Venezuela, abbiamo un sistema politico e sociale molto polarizzato, noi proponiamo alla società venezuelana di riconciliarci, possiamo pensarla diversamente ma siamo tutti esseri umani che meritano rispetto.

Quale fu la strategia di comunicazione?

Mani bianche. Ci colorammo le mani di bianco per simbolizzare due cose. Prima di tutto che noi non eravamo corrotti, avevamo le mani pulite, non eravamo figli della precedente stagione politica. La base del chavismo è il rigetto del passato, ma noi non veniamo del passato, noi siamo il futuro, io ho ventiquattro anni, Chavez quando arrivò al potere ne aveva quaranta e soprattutto come lui non appartenevamo al passato, condannare un passato corrotto non basta a garantirsi un presente corretto. Noi siamo il futuro del Venezuela e non siamo qui per viverci da “corrotti”. Mani bianche a simboleggiare ciò ma anche il fatto che noi veniamo in pace. Noi veniamo per costruire dialogo, per costruire ponti nel Venezuela poiché questo è un Paese diviso, non solo politicamente ma anche socialmente: povertà, esclusione dalla società, sono fattori che creano due differenti realtà nello stesso Paese.

Durante i giorni delle marce la reazione di Chavez fu di un’iniziale sorpresa, ma dopo il risultato del dicembre 2007 i toni si sono alzati superando il livello di guardia e provocando atti violenti da parte di fanatici chavisti. Com’è la situazione oggi?

Il pericolo per l’incolumità fisica c’è sempre. Sono stato aggredito fisicamente e anche calunniato in pubblico (il riferimento è alla satira apparsa sulla rete di Stato che ritrae Yon come un prezzolato per aver ritirato il Milton Friedman For Advancing Freedom Award consegnatogli dal centro studi statunitense Cato Institute), in una conferenza che stavo tenendo è stato messo un esplosivo sul palcoscenico, sono stato percosso e offeso in ogni modo, ma questa gente è una minoranza, i chavisti radicali sono una minoranza, la maggioranza di quelli che votano per Chavez non sono come quella gente, questo è un Paese pacifico, qui non c’è più stata una guerra da tanto tempo e questa è proprio di una società pacifica, la gente rigetta la violenza, ci possono essere persone che non sono d’accordo con me o che mi odiano ma rigettano comunque l’aggressione fisica come soluzione alle diversità politiche. Sì qualche volta ho avuto paura, qualche volta ho paura, ma sono totalmente convinto che ne valga la pena: io voglio vivere felice nel mio Paese, non voglio andare da nessuna altra parte, voglio essere felice con la mia famiglia qui, credo che sia un mio diritto sperare che questo avvenga nel mio Paese.

Qual è la situazione politica nel Paese dopo le elezioni amministrative dello scorso novembre, molti osservatori ritengono che il sostanziale pareggio potesse portare ad una tregua tra Governo e opposizione.

Credo che il risultato sia stato bilanciato, perché Chavez ha vinto la maggioranza degli Stati, ma l’opposizione, seppure in alcuni casi divisa, ha vinto negli Stati più popolosi e nelle città più importanti, inclusa la capitale; nel voto popolare c’è stato quasi un pareggio, con l’opposizione più avanti seppure di poco, ma anche se il risultato è stato molto bilanciato, è l’opposizione che sta incrementando i consensi, Chavez ha perso spazio, prima controllava tutto, oggi controlla meno Stati e per di più i più importanti sono passati all’opposizione, il gioco non consisteva nel vedere chi vinceva più Stati ma chi avanzava e noi siamo avanzati mentre Chavez è tornato indietro.

Come giudichi la recente svolta comunicata da Chavez che intende far proporre per i primi mesi dell’anno, questa volta dall’Assemblea Nazionale dove ha le maggioranze necessarie, ancora un nuovo referendum per riformare la Costituzione, anche se questa volta il quesito sarà unico e verterà solamente sulla possibilità di ricandidarsi indefinitamente da parte di un Presidente eletto?

E’ un terribile errore, perché il Venezuela dovrebbe prepararsi ad affrontare la crisi economica mondiale in arrivo, come noto il Venezuela è un Paese esportatore di petrolio (terzo produttore al mondo), la nostra economia è quasi interamente basata sul petrolio e quindi sul suo prezzo, perciò la crisi internazionale colpirà duramente la nostra società, perché i mercati petroliferi stanno rallentando e noi vendiamo il petrolio a tre mesi, perciò nel 2009 inoltrato osserveremo i frutti della stagnazione che stiamo vivendo in questi giorni. E’ per questo che Chavez ha bisogno di forzare la sua rielezione ora, perché potrebbe non essere in grado di farlo poi.
Avremo una situazione sociale davvero difficile e la responsabilità di un Governo dovrebbe essere quella di pensare alle soluzioni, di trovare il modo di lenire i danni. Inoltre noi abbiamo già deciso sul quesito che ci viene riproposto. E’ illegittimo costituzionalmente riproporre un medesimo quesito nello stesso periodo legislativo. Ma lo Stato di diritto come noto necessita oltre che di istituzioni democratiche anche dell’indipendenza della magistratura, in Venezuela abbiamo istituzioni democratiche ma non esiste l’indipendenza della magistratura e pertanto non ci sarà alcun Tribunale che alzerà il dito decretando l’illegittimità costituzionale della proposta di Chavez. Voteremo quindi di nuovo, ma io credo nel popolo venezuelano, la gente venezuelana, anche quelli che votano per Chavez, possono volerlo Presidente ma non lo vogliono per tutta la vita, nella storia del Venezuela diversi Presidenti hanno provato a farlo ma sono stati sempre sconfitti, perciò Chavez con questa nuova sfida non affronta solo l’opposizione ma la cultura venezuelana.

Cosa farete voi del movimento studentesco ora?

Noi combatteremo. Abbiamo già iniziato a lavorare sull’organizzazione delle manifestazioni ma le proporremo a tempo debito. E’ vero che la nostra è una società fortemente politicizzata, in Venezuela tutto è politica, politica sociale, ma noi abbiamo bisogno della socializzazione della politica, la gente è stufa di scontri, di ideologia, di sfide elettorali che si succedono da anni, la democrazia non è solo votare, certo votare ma anche l’esercizio delle prerogative e delle responsabilità del Governo.
Io penso che la prossima consultazione referendaria di Febbraio è un grave errore, ma non possiamo fermarci, verrà il momento per riposarsi, ma non è questo, adesso dobbiamo combattere per godere di quel momento nel futuro e dobbiamo vincere perché se vincesse Chavez verrebbe sovvertito il principio alla base della nostra Repubblica. Scegliemmo di essere una Repubblica, l’abbiamo ratificato diverse volte, le Repubbliche sono costituite da persone libere ed eguali, una rivoluzione che si basa sulla rielezione di un singolo Presidente è una Monarchia, abbiamo rigettato questo rischio per secoli, lo rigetteremo ancora.

Qualsiasi sia il risultato del prossimo referendum, si corrono rischi di instabilità e di esplosione di conflitti sociali, da una parte abbiamo Chavez all’ultima chance, dall’altra una società civile che può vedersi costretta al comunismo?

Nella precedente consultazione referendaria si decideva su due diversi modelli si Stato, comunismo e democrazia. In questo caso si decide solamente della rielezione del Presidente, è certamente una questione importante, ma non è la stessa cosa. Io penso che queste elezioni sono più pericolose per Chavez, perché se vince avrà solo ottenuto il diritto a ripresentarsi e non vorrà dire certo che è stato rieletto, ma se perde la sua stagione politica si concluderà incontrovertibilmente nel 2012.
Quale ruolo può ricoprire l’esercito in un eventuale momento di tensione?

L’esercito in questi anni è stato fattore di equilibrio tanto che Chavez ha dovuto formare una propria forza militare fuori della tradizionale catena di comando ma lui è impopolare all’interno degli ambienti militari. Nel centro a maggior densità di militari il PSUV (partito di Chavez) è calato del 25%. Credo che l’esercito sventerebbe qualsiasi tentativo di frodare il voto o di imporre soluzioni che non rispettino il risultato elettorale.
Ciò certamente non basta, dobbiamo batterci. Io non penso che dobbiamo batterci per vincere per paura di Chavez, non credo che sarà possibile per lui di riuscire a trasformare il Venezuela in un Paese comunista, la gente non lo vuole, non è poi ancora molto chiaro cosa sia il suo “socialismo del 21mo secolo”.

Chavez porta ad esempio l’istituzione de le ‘misiones’, istituzioni create nella sua visione di politica assistenziale, quali sono i risultati?

In alcuni casi i risultati sono buoni ma è la sostenibilità del progetto che manca, non è sufficiente. Prendiamo ad esempio la misione Robinson, l’alfabetizzazione delle fasce popolari più indigenti, non si può dire che non sia una cosa buona, ma si può dire che è insufficiente, abbiamo bisogno di un piano nazionale per l’educazione e non di iniziative saltuarie, abbiamo bisogno di creare qualità, di formare le giovani generazioni, non basta alfabetizzare! Abbiamo le risorse per farlo, siamo un Paese in via di sviluppo ma non siamo un Paese povero. Non sono più i tempi della Cuba di Fidel!

In queste missioni viene impiegato personale medico dalla Cuba di Castro.

Sì è qui che vengono impiegati, per i primi due anni i risultati sono stati soddisfacenti per la formazione del nostro personale medico, ma adesso la spinta iniziale si sta perdendo e anche in quelle missioni dove lavora ancora il personale medico cubano ci si chiede dell’utilità della cosa.
Un esempio è quello della misione Barrio Adentro creata per dare assistenza sanitaria ma buona per curarti un raffreddore e poco altro, l’ospedale serve sempre! Non è sbagliato fornire assistenza aggiuntiva, ma non può essere l’unica, le misiones non possono essere il fulcro di una politica del welfare, possono servire a gestire le emergenze ma poi c’è bisogno di una politica nazionale che fornisca servizi al cittadino, che poi questi servizi possano o debbano essere offerti dalla mano pubblica o da quella privata dipende dai punti di vista, ma noi non abbiamo né un sistema pubblico né un sistema privato, quella di Chavez è solo ideologia: la gente avrà sempre bisogno degli ospedali.

Per il movimento studentesco quale dovrebbe essere la strada per uscire dalle pastoie ideologiche e dal clima di scontro continuo?

Credo che sia necessario tornare ai principi. Dobbiamo comprendere che la strada per uscire dalla povertà non passa per il petrolio, passa per il lavoro, l’istruzione e la volontà. C’è bisogno di partecipazione per poter comprendere che non esistono soluzioni facili, una sola persona non può essere la risposta ad un problema sociale, la solidarietà è un valore come lo è quello di dare la possibilità a tutti di raccogliere i risultati del proprio lavoro e della propria forza di volontà. Così nasce la responsabilità individuale ma così nasce anche la responsabilità collettiva.

Nel ringraziarla per la sua disponibilità e per concludere Mr Goicoechea, una domanda personale, privata: che significato ha per lei la parola Libertà?

Avevo un Professore, un Professore molto conosciuto qui da noi, che ci diceva così: non esistono definizioni uguali per tutti della parola libertà, ma ogni essere umano sente la stessa cosa quando ascolta quella parola.












1 commento:

Anonimo ha detto...

imparato molto