martedì 17 novembre 2009

La denuncia di Shirin Ebadi


Alla vigilia della risoluzione Onu contro la violazione dei diritti umani in iran
La denuncia di Shirin Ebadi:
«Mi hanno sequestrato il Nobel»
La dissidente all'estero da mesi: «Dicono che devo pagare delle tasse. Sono sotto costante minaccia, ma tornerò»

NEW YORK - «Ho invitato il se­gretario generale dell’Onu a visita­re l’Iran per vedere coi propri occhi il tragico deterioramento delle li­bertà nel mio Paese». Alla vigilia della risoluzione contro le violazio­ni dei diritti umani in Iran che l’As­semblea generale Onu si appresta a votare in settimana, Shirin Ebadi abbandona i toni soft per attaccare il regime «che uccide i minorenni, perseguita donne e minoranze reli­giose e mette all’indice la libertà di parola».

Lei manca dal suo Paese dalle contestatissime elezioni dello scorso giugno.
«Vivo in uno stato di esilio effet­tivo», spiega l’attivista 62enne, pre­mio Nobel per la Pace nel 2003, in un incontro col Corriere all’Hotel Tudor, a due passi dall’Onu. «Mi hanno confiscato l’appartamento, la pensione che ricevo dal ministe­ro della Giustizia e il conto in ban­ca mio e dei miei famigliari, ormai sotto costante minaccia. E se non bastasse mi hanno sequestrato tut­ti i premi, incluso il Nobel e la Le­gion d’Onore».

Ha paura di tornare in Iran?
«Nulla mi spaventa più, anche se minacciano di arrestarmi per eva­sione fiscale al mio rientro. Sosten­gono che debbo al governo 410 mi­la dollari in tasse arretrate per il No­bel: una fandonia visto che la legge fiscale iraniana stabilisce che i pre­mi siano esentasse. Se trattano così una persona ad alto profilo come me, mi chiedo come si comportano di nascosto con uno studente o cit­tadino qualunque».

Quando ha intenzione di rimpa­triare?
«Tornerò, forse accompagnata da Ban Ki-moon, quando avrò fini­to il mio lavoro all’estero e sarò più utile nel mio Paese. Sono stati i miei colleghi di Teheran a chieder­mi di restare: 'Adesso ci sei più uti­le fuori', hanno detto. Uno dei miei compiti è perorare la risoluzione Onu che i partner commerciali ira­niani vorrebbero bloccare in quan­to 'politicizzata'. Un’accusa falsa come dimostra l’ultimo rapporto di Ban Ki-moon: un uomo che non si può certo accusare di parzialità».

A cosa serve una risoluzione pu­ramente simbolica?
«A mettere in guardia il governo di Teheran e a dare al popolo che soffre la conferma che l’Onu è con lui. Bisogna riportare la calma nel Paese e io sento il dovere di interve­nire per fermare l’escalation di vio­lenza».

Teme che i media internaziona­li abbassino la guardia?
«Sì. Migliaia di prigionieri lan­guono in carcere, torturati e stupra­ti. Nessuno conosce il vero numero delle vittime».

La commissione Onu per i dirit­ti umani a Ginevra fa la sua parte?
«Cerca di farla ma la composizio­ne del consiglio è tale da legargli le mani. Vorrei spingerlo a fare di più perché, lo ripeto, la violazione dei diritti umani nel mio Paese è diven­tata sistematica e diffusissima. Se la Comunità internazionale tace, il popolo sarà dimenticato ed è pro­prio ciò che vuole il governo».

L’amministrazione Obama sta facendo abbastanza?
«Non ho ancora incontrato il pre­sidente Obama né i membri della sua amministrazione ma la mia po­sizione è ben chiara: nel dialogo con l’Iran non si può parlare solo di nucleare, ignorando la questione ben più pressante dei diritti umani. Le due sono interdipendenti».

È ottimista sulla ripresa del dia­logo tra Washington e Teheran?
«Obama ha inaugurato un nuo­vo corso rispetto all’ostile sbarra­mento di Bush, ma bisogna aspetta­re per vedere quali decisioni in con­creto verranno prese».

È ancora in contat­to con i suoi famiglia­ri in Iran?
«Parlo tutti i giorni con mio marito e con i miei colleghi del Cen­tro per la difesa dei di­ritti umani. No, non so­no in contatto con gli esuli iraniani in Ameri­ca e nel resto del mon­do: non sono un lea­der politico né un lea­der del movimento d’opposizione né loro mi riconoscono come tale. Sono solo un di­fensore dei diritti uma­ni, un semplice avvo­cato che difende pro bono i perseguitati po­litici».

Quando tornerà in Iran avrà molto da fare.
«Ne sono certa e mi preparo già ad accettare tutti i casi che mi capi­teranno, coadiuvata da una ventina di illustri colleghi, la maggior parte delle quali donne».

È vero che la rivoluzione estiva è stata guidata dalle donne?
«Ba­sta andare su Youtube per capirlo. Non a caso Neda ne è diventata il simbolo. Tantissime donne sono dietro le sbarre mentre ogni sabato sera il comitato delle Madri in Lut­to dell’Iran si riunisce in un parco. Protestano in silenzio, vestite di ne­ro e con le foto dei figli imprigiona­ti o uccisi. Molte città, tra cui Firen­ze e Venezia, hanno creato comitati di solidarietà analoghi e io mi ap­pello a tutte le donne del mondo perché facciano lo stesso».

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