martedì 29 dicembre 2009

Iran opposition leader Karroubi attacked


(AFP) – TEHRAN — Mehdi Karroubi, one of Iran's top opposition leaders and a defeated presidential candidate, was attacked upon leaving a mosque in eastern Tehran, his party's website reported Monday.

"Mehdi Karroubi, who was with his family attending a mourning ceremony... in a mosque in eastern Tehran, was attacked by some rogue assailants," his Etemademelli party said on its Sahamnews.org website.

"His vehicle was attacked and the front window was broken, the attackers escaped when people intervened," the website added without elaborating on the time of the incident.

Earlier in the day, Karroubi condemned "despicable violence" during clashes on Sunday between police and opposition protestors.

In a statement carried by Rahesabz opposition website, he accused the government of "dipping its hand in people's blood and unleashing a savage group on the people."

"Defiance and disrespecting the law and people's rights have inflicted irreversible costs for seven months on the country and people," Karroubi said.

On Sunday, police fired teargas and used batons to disperse crowds and according to witnesses and the opposition later resorted to live rounds, marking the bloodiest showdown in months.

State-run English language Press TV put the death toll from the clashes at eight, quoting an official with Iran's Supreme National Security Council. It did not specify where the victims were killed.

Karroubi along with opposition leader Mir Hossien Mousavi did not accept the result of Iran's June 12 presidential election in which President Mahmoud Ahmadinejad was re-elected, branding the outcome as "rigged."

lunedì 28 dicembre 2009

martedì 15 dicembre 2009

Happy Bill of Rights Day



No so in quanti ce ne siamo ricordati ma..:

Oggi è l'anniversario del Bill of Rights! (http://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_degli_Stati_Uniti)
Di certo non è che la cosa faccia il giro del mainstream mediatico ma diventa - per chi lo vuole - un'occasione per ricordarsi delle parole che i Padri Fondatori degli Stati Uniti d'America, per tutti, vollero fossero scolpite sulla pietra: cosa uno Stato e un Governo non dovrebbero MAI fare.
La Dichiarazione dei Diritti si compone dei primi dieci emendamenti della Costituzione americana risalenti ai primi anni di storia del paese a stelle e strisce.
Si parla della necessità di limitare il potere del Governo e furono il risultato delle eccezioni avanzate dagli Stati federati e da alcuni illuminati come Thomas Jefferson, durante la ratifica della Costituzione.

Di questa necessità di limitare il potere del Governo e dello Stato, naturalmente la maggior parte dei Governi - anche quelli democraticamente eletti - deliberatamente se ne infischia come oggi ce ne infischiamo per l'appunto del Bill of Rights.
Vale la pena ricordare che in esso sono contenute le basi del moderno rispetto dell'individuo quale motore di quella cooperazione spontanea che è alla base del successo di qualsiasi organizzazione, statuale, governativa o privata che sia.
Le Costituzioni, come quella degli States, dovrebbero in effetti servire a limitare l'influenza sull'individuo dell'organizzazione che questi acconsente di costituire per tutelare alcuni suoi diritti (lo Stato), diventano invece molto di più, una sorta di Bibbia laica, di guida cavillosa per il cittadino/suddito obbediente. Questo per tanti decenni è stato in larga parte dell'Europa, oggi, con i provvedimenti messi in cantiere dallo Zar di tutti gli Stati Uniti BHO, questa triste declinazione minore del principio di autodeterminazione dei popoli comincia a crescere come l'erba gramigna anche nei gloriosi USA.

Ad Maiora

lunedì 14 dicembre 2009

Primo turno in Cile: una ventata liberale in Sud America?



Nella notte di ieri si è consolidata la sensazione che alle porte delle cancellerie sud americane una nuova stagione stia per bussare.
Anche in Cile la sinistra è stato sconfitta seppure solo al primo turno delle elezioni presidenziali, convocate anche per rinnovare 120 seggi della camera dei deputati e 20 seggi dei 38 senatoriali.
Con circa il 45% dei consensi il sessantenne candidato della destra Sebastian Pinera si accredita come il possibile protagonista della fine della ventennale stagione socialista in Cile.
La Presidenza di Michelle Bachelet, che per la carta costituzionale non può essere rieletta, viene contesa tra Pinera, candidato della nuova destra democratica e Frei, un democristiano di sinistra (...cattocomunista si direbbe da noi...).
La sfida resta aperta, infatti mettendo insieme tutti i candidati opposti a Pinera, dalla estrema sinistra di Jorge Arrata al 6% sino al 18% del trentenne socialista Marco Enriquez Ominami, il 29% raccimolato da Eduardo Frei potrebbe essere sufficiente a lasciare che il seggio presidenziale resti in mano al centrosinistra.
Certo il vantaggio del miliardario imprenditore Pinera, auto prestatosi alla politica per consegnare un destino di sviluppo e di buon governo al proprio Paese, appare importante al punto da permettere un qualche ottimismo.
Frei ha condotto una campagna elettorale ribadendo a gran voce che il suo partito e la coalizione che lo sosterrà (senza meno il socialista Enriquez) non credono nella forza del mercato; Frei è già stato Presidente tra il 1994 e il 2000 e l'anticapitalismo certo non rappresenta una grande novità di offerta politica nel Paese e nell'area, i problemi restano infatti tutti lì sul tavolo. Sviluppo, scolarizzazione, giustizia sociale.
L'elezione di Pinera non potrebbe non avere conseguenze importanti per il Cile e non solo, considerando che sarebbe il primo Presidente di destra dopo la fine della dittatura di Augusto Pinochet.
Ma la sorpresa della tornata elettorale è stata rappresentata certamente da Enriquez che nessuno fino a qualche mese dalle elezioni accreditava e che è invece riuscito a raggiungere quasi il venti per cento dei consensi grazie alla sua capacità nel trasformare le elezioni politiche in una chiamata alla rottura anche generazionale, contro un modo di far politica e di amministrare giudicato arretrato.
Giova ricordare come il Cile sia tra i Paesi più stabili e sviluppati dell'America Latina e un cambiamento di rotta non potrebbe non avere conseguenze sugli equilibri e sulle velleità delle derive social-comuniste di regimi come quello di Chavez o quello dell'appena rieletto Morales, soprattutto ora che i castristi hanno perso la sponda di Zelaya in Honduras.
Certo il centrodestra cileno si trova ad una svolta, per riuscire a superare il secondo turno deve dimostrare di saper condurre una campagna elettorale più competitiva giacché non sarà sufficiente avvantaggiarsi del frazionamento del centrosinistra che al secondo turno ci sarà da aspettarsi si presenti in qualche modo compatto.
La storia recente del Cile consegna a partire dal 1990 (anno in cui con un plebiscito fu destituito dal potere il colonnello) governi di coalizione di centrosinistra e perché anche questa volta non si giunga allo stesso risultato Pinera dovrà far risaltare le contraddizioni di una coalizione di centrosinistra per la prima volta si è presentata al primo turno separata e che solo per opportunismo potrebbe scegliere si apparentarsi al secondo turno regalando al Paese un governo a rischio corto circuito su tanti temi.
Il democristiano Frei e il giovane socialista, infatti, se le sono date di santa ragione ed il secondo ha condotto una battaglia elettorale evidentemente incentrata sull'obiettivo di togliere voti al primo.
Frei ostenta sicurezza ma è innegabile che nel continente a partire dal risultato delle elezioni honduregne, spira un soffio di vento nuovo. Perché da un soffio di vento si giunga ad una ventata vera e propria molto dipenderà dall'esito del secondo turno cileno del 17 gennaio.

martedì 1 dicembre 2009

http://www.tocque-ville.it/LinkEsterno.aspx?id=2691762

http://www.tocque-ville.it/LinkEsterno.aspx?id=2691762

In questo link al blog Watch International il manifesto di Hezbollah per l'anno in corso: straordinari i successi dell'operazione UNIFIL, Nasrallah comunica che il suo gruppo terrorista dispone di nuovo di migliaia di missili per "sotterrare Israele". Cediamo il comando alla Spagna ed andiamocene.

lunedì 30 novembre 2009

Morning Bell: A Victory for Democracy in Honduras » The Foundry

Morning Bell: A Victory for Democracy in Honduras » The Foundry

Il voto legittima il golpe di Micheletti



E così alla fine Porfirio Lobo, leader del Partito Nacional, riporta i conservatori honduregni al governo. E' lui il successore di Zelaya, il deposto Presidente che grida ancora alle elezioni farsa. Ma la eco delle sue grida è destinata a scemare con i giorni giacché il dato di affluenza alle urne con cui è stato eletto Lobo (65%) è ben superiore a quello con cui Zelaya stesso fu eletto (52%).
Lo stesso Partito Liberal di Santos, lo stesso partito di Zelaya, ha già durante lo spoglio, nel mentre si susseguivano le proiezioni, accettato di buon grado la sconfitta. Così il clima di guerrgiglia alla fine non è degenerato e Zelaya adesso resta solo e sconfitto dentro l'ambasciata brasiliana a Tegugigalpa.
Non è l'unico però ad esser rimasto solo e sconfitto,perché al fianco dell'ex Presidente deposto restano personaggi ingombranti: Hugo Chavez e le frange più estreme del governo di Rio de Janeiro presieduto da Lula.
Il Caudillo di Caracas ha parlato a caldo alla TV di stato venezuelana manifestandosi nervoso, prendendosela con il Cardinale Urosa e parlando di unità dell'esercito, forse nella malcelata paura che lo schema risultato vincente per eliminare autoritarismo e rischi di dittatura comunista in Honduras, potesse solleticare le velleità di qualcuno in Venezuela.
Lula ed il suo Governo invece, si trovano con uno scomodo ospite e con una scomoda lettura della crisi giacché risulta evidente come al contrario di quanto pensato negli ambienti socialcomunisti brasiliani, la società honduregna è apparsa ansiosa di archiviare la vicenda sueguita ai giorni del golpe del Generale Micheletti proprio attraverso lo strumento principe delle democrazie: il seggio elettorale.
Nonostante le rimostranze di membri dell'ex governo in carica e del "simpatico" duo Chavez-Lula, appoggiato anche dal governo argentino, la legittimità del risultato elettorale adesso potrà essere difficilmente discussa, essa non arriva unicamente dalla presenza di osservatori internazionali, dalla constatazione del successo della consutazione da parte dell'emissario del Parlamento UE, né dall'appoggio degli Stati Uniti, del Costa Rica o del Perù, arriva anche dall'asseverazione di fatto ad opera della Suprema Corte che nei giorni immediatamente precedenti le elezioni aveva negato a Zelaya la possibilità di emendare d'autorità la Costituzione.
Le immagini che sono arrivate nella notte da Tegucigalpa parlano di voglia di democrazia e libertà, pure manifestata da uno dei Paesi tra i più poveri dell'America Latina, è molto difficile intravedere malinconie di sorta.
Adesso spetterà a Lobo, il quale ha già parlato di dialogo nazionale, promettendo di concentrarsi su sviluppo e lotta alla disoccupazione. Una lotta titanica per l'Honduras, ma il piccolo Paese sud americano una prima importante vittoria l'ha già ottenuta: resterà ancora per un po' uno Stato democratico e con buona pace di vicini interessati.

Exit Polls


Lobo 55% dei voti nuovo Presidente dell'Honduras, affluenza alle urne 65%.
Una sconfitta sonante per Chavez ed il suo progetto socialcomunista in Sud America, un'altra figuraccia per il Governo di Lula.
La libertà e la democrazia in Sud America sono più radicate di quanto sia dato pensare.

ESPECIAL VOTO 2009

ESPECIAL VOTO 2009

Le prime indicazioni danno LObo avanti di 100.000 voti

Attesa per esito votazioni




Le sedi del Partido Nacional e quella del Partito Liberal, dove si attendono i risultati dello spoglio. Le ultime elezioni hanno ottenuto il 52% di affluenza alle urne.

Honduras: urne chiuse, astensione al 35% - Corriere della Sera

Honduras: urne chiuse, astensione al 35% - Corriere della Sera

Ecco il dato sull'astensione: 35%! Il boicottaggio di Zelaya è fallito. Lula potrà continuare ad ospitarlo a lungo a Rio. A questo punto la gente dell'Hounduras sembra abbia dato più fiducia ai militari golpisti che al Presidente deposto asseverando quella lettura della vicenda che vuole l'esercito esser intervenuto in difesa della costituzione e non per instaurare un regime dittatoriale autarchico.

Seggi chiusi da pochi minuti






I seggi per le consultazioni presidenziali honduregni si sono chiusi da pochi minuti ma la battaglia sulla affluenza alle urne continua ad infuriare.
I sostenitori del deposto Presidente Zelaya raccontano di diverse aggressioni da parte di unità dell'esercito fedeli all'autosospesosi presidente golpista Micheletti ed di una farsa elettorale. Secondo gli uomini di Zelaya, che vale la pena di ricordare, osserva la sfida elettorale barricato all'inerno dell'ambasciata brasiliana, l'affluenza non andrebbe oltre il 30%.
Per il resto dell'arco costituzionale honduregno le elezioni sono un successo che va oltre il 70%. Gli osservatori internazionali parlano di una consultazione tutto sommato tranquilla e di entusiasmo e del rivivere di una voglia di democrazia che Zelaya aveva soffocato.
Unico episodio serio della giornata degno di nota è quello di San Pedro Sula, dove diverse persone sono rimaste ferite quando durante una manifestazione di sostenitori di Zelaya radunatisi davanti alla Cattedrale, sono partite delle cariche da parte delle forze di sicurezza, lancio di lacrimogeni, con decine di contusi, non ultimo un cameramen della agenzia reuters finito in ospedale.
I primi exit poll danno il candidato del Partit Nacional Porfirio Lobo Sosa, avanti rispetto a Santos del Partito Liberal per veti punti o giù di lì.
Il Partito Nacional e quello Liberal si sono alternati per la maggior parte al potere, salvo colpi di Stato. Lobo è al secondo tentativo e si presenta con una piattaforma politica più conservatrice. Il Partito Liberal era anche quello di Zelaya, Santos fece parte della prima squadra del Presidente deposto, salvo poi dimettersi da incarichi anche prestigiosi - vicepresidente, per promuovere una propria corsa alle presidenziali.
Un indice su chi stia vincendo cosa può essere il nervosismo che manifesta Hugo Chavez nel mentre va avanti lo spoglio elettorale.
Chavez dalla trasmissione della TV di Stato Venezuelana, Alò Presidente, ha tenuto a ribadire che non esistono spaccatura all'interno dell'esercito venezuelano, una excusatio non petita. Poi ha parlato alle agenzie di stampa di una necessità per i Paesi dell'area di stringere i tempi per la nascita di una "Corporación de Mercados Socialistas" come nuovo modelo di gestione che rompa il meccanismo di distribuzione della ricchezza e segni il destino del capitalismo, infine ha insultato il Cardinale Urosa dandogli del "borghese" ed accusandolo di non voler vedere come in Venezuela fosse in corso una lotta di classe senza quartiere, il tutto perché l'altro prelato questo aveva chiesto al Governo di Caracas un gesto di buona volontà, la liberazione dalle carceri dei nemici politici impringionati a partire dal 2002.
Durante lo svolgimento delle operazioni di voto, il deputato al Parlamento europeo Iturgaiz aveva rilasciato dichiarazioni secondo le quali a suo parere l'esito del voto honuregno avrebbe dovuto preoccupare Chavez: lo schema di Tegucigalpa potrebbe essere riproposto anche su altr teatri.
Nel frattempo arrivano conferme che con un affluenza alle urne superiore vicina al 70% il boicottaggio di Zelaya sarebbe fallito, infatti tradizionalmente in Honduras, anche nelle migliori torante elettorali, l'affluenza non è mai andata oltre il 60%.

File ai seggi

domenica 29 novembre 2009

Al voto per la democrazia in Honduras

Ancora foto dai seggi

Peaceful march in San Pedro Sula brutally repressed with water cannons and tear gas | Quixote Center

Peaceful march in San Pedro Sula brutally repressed with water cannons and tear gas | Quixote Center

Partido Liberal, Juan Carlos Zúniga: "Resultados serán a nuestro favor"




El candidato a la alcaldía de San Pedro Sula por el Partido Liberal, Juan Carlos Zúniga, votó esta tarde en la Universidad Nacional Autónoma de Honduras en el Valle de Sula, Unah-vh.

El presidenciable Elvin Santos, quien llegó a la ciudad en helicóptero, también se encuentra en la universidad para darle el apoyo a Zúniga.

Santos dijo que Zúniga "es un hombre muy humano que lo ha demostrado al pueblo Hondureño".

"Donde sea que vamos se nota el apoyo, creo que seremos triunfadores", añadió Zúniga, quien tiene muchas expectativas "y piensa que serán a su favor los resultados."

Zúniga: Confían en mi capacidad

Seguro y optimista de que los sampedranos sin distingos de colores políticos le darán su voto se mostró ayer el doctor Juan Carlos Zúniga.

Zúniga promete un gobierno de igualdad. El cardiólogo señala que en pocos días de campaña la población sampedrana le ha brindado cariño y admiración. “Hay alegría en los pobladores cuando llegamos a los mercados, barrios, colonias y bordos.

La gente nos recibe con bendiciones, oraciones y muchas de estas personas que no querían ir a votar nos han manifestado que lo harán porque confían en nuestra capacidad”, contó.

Apoyará al Rivas
En un céntrico hotel de la ciudad, el galeno coordinaba ayer los trabajos de representación y logística en las mesas electorales. Indicó que el manejo de los resultados estará a cargo del personal del hospital Mario Rivas que lo ha apoyado de inicio a fin y de sus familiares, amigos, compañeros de escuela y universidad y médicos.

Zúniga reiteró que ellos hoy le estarán reguardando las urnas en los diferentes centros educativos de la capital industrial. El galeno le pidió a los sampedranos no equivocarse al marcar expresándoles que si le dan la oportunidad de ser alcalde en los primeros 100 días de gobierno municipal las finanzas de la alcaldía estarán saneadas. Para ello buscará el apoyo de la banca privada , de los empresarios y de la misma sociedad.

Zúniga promete recuperar la confianza del sampedrano para que se motive y pague sus impuestos. “Los impuestos de los sampedranos serán devueltos con verdaderas obras sociales y de infraestructura, así como programas efectivos orientados a brindar seguridad a los ciudadanos y educación de calidad a los niños más desposeídos”, resaltó.

El médico indicó que si es alcalde jamás se desligará del hospital Mario Rivas al que, dijo, le dará todo su apoyo para que sea uno de los mejores centros asistenciales del país y de Centroamérica. “Nuestro corazón está en ese hospital con la gente humilde y el enfermo. Al ser alcalde, si Dios quiere, apoyaré al Rivas, lo conozco bien y sé de sus necesidades”, apuntó. El aspirante espera gobernar al lado de su esposa Iveth Aramendía, que luchará por rescatar a los niños de la calle llevándolos a verdaderos centros de atención para menores. También velará por el bienestar de los ciudadanos de la tercera edad en abandono.

Intervista ad un seggio elezioni Honduras 2009

Hondureños se vuelcan masivas votaciones | La Tribuna.hn - Una voluntad al servicio de la patria.

Hondureños se vuelcan masivas votaciones | La Tribuna.hn - Una voluntad al servicio de la patria.

Los progreseños acudieron a las sedes de los partidos políticos a verificar dónde les toca votar.

Los progreseños acudieron a las sedes de los partidos políticos a verificar dónde les toca votar.

ESPECIAL VOTO 2009

ESPECIAL VOTO 2009

Honduras: in corso voto dopo-golpe - Mondo - ANSA.it

Honduras: in corso voto dopo-golpe - Mondo - ANSA.it

Honduras en lucha!: Espinal: Elecciones en Honduras tendrán abstención del 70%

Honduras en lucha!: Espinal: Elecciones en Honduras tendrán abstención del 70%

L'ambasciatore honduregno in Venzuela parla di un astensione attorno al 70%...per via del carattere illegale della consultazione...si vedrà.

Verso un afflusso elettorale inaspettato




Presenza massiva ai seggi. Zelaya parla alla TV di stato di Chavez. I primi commenti tra la gente concordano sul fatto che senza il golpe di Micheletti una tornata elettorale di successo come questa non sarebbe stata possibile.

Aperti i seggi in Honduras

Da poco più di venti minuti si vota. Il Paese sud americano reduce da un colpo di stato militare che ha impedito il ritorno in patria del Presidente Zelaya vota davanti ad osservatori internazionali sotto egida ONU. Recentemente la corte costituzionale honduregna ha sancito ufficialmente la impossibilità per Zelaya di emendare la costituzione vigente di fatto sbarrandogli la strada dopo la sua dichiarazione che non avrebbe riconosciuto il risultato elettorale delle odierne consultazioni. Dietro Zelaya sì nasconde il disegno di un nord del sud america socialcomunista sotto il controllo del caudillo di Caracas. Chavez nei giorni dell esilio forzato di Zelaya non Garnier escluso l'intervento militare venezuelano a favore di Zelaya. I militari golpisti hanno più volte chiarito che l'azione da loro compiuta era in difesa della costituzione che sarebbe stata sul punto di essere forzosamente emendata da Zelaya, peraltro asseverando le loro ragioni accettando la mediazione internazionale e appoggiando le elezioni sotto egida ONU. Dietro questo voto c'è molto di più del governo di Tegucicalpa.

Inviato dal cellulare Nokia

W la Democrazia in Honduras

sabato 28 novembre 2009

Elezioni Honduras

Domani elezioni in Honduras. Fondamentali per il destino dell'area. Zelaya dovrà dimostrare di avere sul serio l'appoggio del popolo honduregno. Tramite i twits di Izzy Ortega, osservatore internazionale delle elezioni, uomo dell'Heritage Foundation, Roark proverà ad aggiornare gli interessati. Sul blog e su twitter.
A domani

mercoledì 18 novembre 2009

La logica di Sansone



L'uscita del Presidente del Senato Schifani di ieri sera che apriva con chiarezza all'ipotesi di elezioni anticipate, mentre si è alle porte di un voto di fiducia sul DL Ronchi relativo al recepimento di discusse direttive UE circa la privatizzazione dei servizi pubblici locali, ha gettato il mondo politico italiano nel panico.
Nello stomaco della maggioranza comincia a farsi sentire il lato oscuro del prolungato silenzio berlusconiano.
Dell'opposizione è giusto tacere, anche perché in questa vicenda una sola cosa è certa e cioé le barricate che questa farà davanti al Quirinale per evitare elezioni anticipate, il risiko invece è tutto nell'eterna lotta tra il Premier, il suo partito ed ambienti della Magistratura che eufemisticamente possiamo definire come indifferenti al sentimento di carità di Patria.
Si sa infatti che Berlusconi è irato per trovarsi per la prima volta in un cul de sac: ma c'è cul e cul.
E' difficile spiegarlo: il Premier ha un ampia maggioranza composta dal proprio partito e da un unico alleato. Il suo partito è ancora giovane e allo stato embrionale, al suo interno non sono ancora chiari i meccanismi di composizione della linea politica ed in mancanza le minoranze vanno in ordine sparso senza guarentigie. L'unico alleato, la Lega, è da lui ritenuto il più prezioso degli amici anche se è in realtà probabilmente il suo peggiore nemico basti pensare agli altolà che immediatamente alza quando il PDL prova ad imprimere un talgio più politico alla sua azione di Governo (vedi Cota sulla fiducia al DL Ronchi). In più la Lega raccoglie per sé i meriti dei risultati facendo fare al Premier il lavoro sporco, gli ha messo in casa un controllore che ha anche le chiavi della cassaforte e si è autoeletto tutore non si sa bene di che cosa.
Ma fin quì, si dirà, è la democrazia bellezza! Poi però lo showdown. E allora perché?
Non sono le sentenze Mills, né la distruzione scientifica della propria vita privata ad opera degli avversari politici, neanche la condanna ultraventennale multimiliardaria al risarcimento all'Ingegnere, il fatto è un altro.
Il chiaccherato sottosegretario all'economia Nicola Cosentino riceve un ordine di custodia cautelare per concorso esterno in Camorra, in molti si affrettano a dire che deve dimettersi e che non può candidarsi. Berlusconi tace.
Poi trapela la notizia per cui secondo indiscrezioni provenienti da alcune procure siciliane, il Presidente del Consiglio sarebbe prossimo a ricevere un altro avviso di garanzia, questa volta per Mafia (!). Mai silenzio fu più propizio, se Berlusconi avesse spinto per le dimissioni di Cosentino, al ricevimento di quest'altro teorema accusatorio avrebbe dovuto trarne le conseguenze.
Che dire, la cosa puzzicchia di complotto.
Dopo che il Lodo Alfano è stato rigettato Silvio Berlusconi ha tentato in qualche modo di metterci una pezza con una frettolosa ed incompleta riforma della giustizia, oggi tutti, anche parti dell'opposizione, si affannano a parlare di legge costituzionale per il Lodo Alfano, di ripristino dell'immunità (la Lega è contraria), ma il Presidente del Consiglio sembra deciso ad uscire dalle pastoie facendo cadere il Governo in un inciampo parlamentare ed impedendo il conferimento di qualsiasi altro incarico.
In tutto questo, anche dando per scontato come non'è, che si riesca ad andare alle urne e anche dando per scontato come non è, che Berlusconi (e non più il PDL visto e considerato che ne rimarrebbe travolto) riottenga presso a poco gli stessi risultati in termini di seggi parlamentari alle future politiche, in tutto questo, non si riesce a capire in che modo la nuova chiamata elettorale riuscirebbe a sanare il vulnus di Berlusconi con la Magistratura.
Le elezioni non spostano nulla di una virgola i processi e i teoremi pendenti, né un Berlusconi fresco di elezione potrebbe impedire alcunché, i processi e i teoremi andrebbero avanti.
L'unica cosa certa che si otterrebbe è che si porterebbero indietro le lancette della politica nazionale di 15 o forse più anni, che si getterebbe a mare quanto di buono fatto in termini di razionalizzazione del sistema politico, visto che è ben possibile che l'operazione fallisca e che il parlamento italiano si ritrovi in un caos simil fine Prima Repubblica. A quel punto non sarebbe solo finito quello che viene definito il berlusconismo ma anche il bipolarismo, il sogno della modernizzazione della democrazia italiana.
Allora che fare?
Andare avanti con le riforme, mettere alla porta gli ostacoli (leggi i/l Ministr/o) alla realizzazione del programma di Governo, andare ai processi, prendersi il fango e chiudere il mandato. Il giudizio sull'operato di Berlusconi non lo darebbero i Magistrati più o meno in buona fede, ma se per davvero si realizzasse il programma di riforme del Paese promesso a partire dalla famosa discesa in campo, sarebbe la storia a giudicare Berlusconi.
Con il Muoia Sansone Con Tutti I Filistei, invece, il Premier rischia il più clamoroso degli autogol ed una responsabilità questa sì storica davanti al Paese e al suo futuro.

martedì 17 novembre 2009

La denuncia di Shirin Ebadi


Alla vigilia della risoluzione Onu contro la violazione dei diritti umani in iran
La denuncia di Shirin Ebadi:
«Mi hanno sequestrato il Nobel»
La dissidente all'estero da mesi: «Dicono che devo pagare delle tasse. Sono sotto costante minaccia, ma tornerò»

NEW YORK - «Ho invitato il se­gretario generale dell’Onu a visita­re l’Iran per vedere coi propri occhi il tragico deterioramento delle li­bertà nel mio Paese». Alla vigilia della risoluzione contro le violazio­ni dei diritti umani in Iran che l’As­semblea generale Onu si appresta a votare in settimana, Shirin Ebadi abbandona i toni soft per attaccare il regime «che uccide i minorenni, perseguita donne e minoranze reli­giose e mette all’indice la libertà di parola».

Lei manca dal suo Paese dalle contestatissime elezioni dello scorso giugno.
«Vivo in uno stato di esilio effet­tivo», spiega l’attivista 62enne, pre­mio Nobel per la Pace nel 2003, in un incontro col Corriere all’Hotel Tudor, a due passi dall’Onu. «Mi hanno confiscato l’appartamento, la pensione che ricevo dal ministe­ro della Giustizia e il conto in ban­ca mio e dei miei famigliari, ormai sotto costante minaccia. E se non bastasse mi hanno sequestrato tut­ti i premi, incluso il Nobel e la Le­gion d’Onore».

Ha paura di tornare in Iran?
«Nulla mi spaventa più, anche se minacciano di arrestarmi per eva­sione fiscale al mio rientro. Sosten­gono che debbo al governo 410 mi­la dollari in tasse arretrate per il No­bel: una fandonia visto che la legge fiscale iraniana stabilisce che i pre­mi siano esentasse. Se trattano così una persona ad alto profilo come me, mi chiedo come si comportano di nascosto con uno studente o cit­tadino qualunque».

Quando ha intenzione di rimpa­triare?
«Tornerò, forse accompagnata da Ban Ki-moon, quando avrò fini­to il mio lavoro all’estero e sarò più utile nel mio Paese. Sono stati i miei colleghi di Teheran a chieder­mi di restare: 'Adesso ci sei più uti­le fuori', hanno detto. Uno dei miei compiti è perorare la risoluzione Onu che i partner commerciali ira­niani vorrebbero bloccare in quan­to 'politicizzata'. Un’accusa falsa come dimostra l’ultimo rapporto di Ban Ki-moon: un uomo che non si può certo accusare di parzialità».

A cosa serve una risoluzione pu­ramente simbolica?
«A mettere in guardia il governo di Teheran e a dare al popolo che soffre la conferma che l’Onu è con lui. Bisogna riportare la calma nel Paese e io sento il dovere di interve­nire per fermare l’escalation di vio­lenza».

Teme che i media internaziona­li abbassino la guardia?
«Sì. Migliaia di prigionieri lan­guono in carcere, torturati e stupra­ti. Nessuno conosce il vero numero delle vittime».

La commissione Onu per i dirit­ti umani a Ginevra fa la sua parte?
«Cerca di farla ma la composizio­ne del consiglio è tale da legargli le mani. Vorrei spingerlo a fare di più perché, lo ripeto, la violazione dei diritti umani nel mio Paese è diven­tata sistematica e diffusissima. Se la Comunità internazionale tace, il popolo sarà dimenticato ed è pro­prio ciò che vuole il governo».

L’amministrazione Obama sta facendo abbastanza?
«Non ho ancora incontrato il pre­sidente Obama né i membri della sua amministrazione ma la mia po­sizione è ben chiara: nel dialogo con l’Iran non si può parlare solo di nucleare, ignorando la questione ben più pressante dei diritti umani. Le due sono interdipendenti».

È ottimista sulla ripresa del dia­logo tra Washington e Teheran?
«Obama ha inaugurato un nuo­vo corso rispetto all’ostile sbarra­mento di Bush, ma bisogna aspetta­re per vedere quali decisioni in con­creto verranno prese».

È ancora in contat­to con i suoi famiglia­ri in Iran?
«Parlo tutti i giorni con mio marito e con i miei colleghi del Cen­tro per la difesa dei di­ritti umani. No, non so­no in contatto con gli esuli iraniani in Ameri­ca e nel resto del mon­do: non sono un lea­der politico né un lea­der del movimento d’opposizione né loro mi riconoscono come tale. Sono solo un di­fensore dei diritti uma­ni, un semplice avvo­cato che difende pro bono i perseguitati po­litici».

Quando tornerà in Iran avrà molto da fare.
«Ne sono certa e mi preparo già ad accettare tutti i casi che mi capi­teranno, coadiuvata da una ventina di illustri colleghi, la maggior parte delle quali donne».

È vero che la rivoluzione estiva è stata guidata dalle donne?
«Ba­sta andare su Youtube per capirlo. Non a caso Neda ne è diventata il simbolo. Tantissime donne sono dietro le sbarre mentre ogni sabato sera il comitato delle Madri in Lut­to dell’Iran si riunisce in un parco. Protestano in silenzio, vestite di ne­ro e con le foto dei figli imprigiona­ti o uccisi. Molte città, tra cui Firen­ze e Venezia, hanno creato comitati di solidarietà analoghi e io mi ap­pello a tutte le donne del mondo perché facciano lo stesso».

Ffwebmagazine - Una manifestazione di "non-protesta" per uscire dalla trappola dell'odio

Ffwebmagazine - Una manifestazione di "non-protesta" per uscire dalla trappola dell'odio

lunedì 16 novembre 2009

Niente Stimoli per favore


Stimulus Fail: Unemployment Jumps to 26-Year High



Mentre il leader della CGIL Epifani, sabato scorso lanciava in piazza la sua sfida senza se e senza ma al Governo reo di non aver fatto abbastanza sulla Crisi, venivano diramati i dati a consuntivo delle politiche di stimulus praticate negli Stati Uniti.
Nonostante i Governi obamiano dopo e di Bush prima abbiano acquistato tutti i titoli marci delle compagnie pù disastrate del pianeta dacché si assistette al Credit Crunch scatenatosi a causa dal collasso dei colossi statali deputati alla riassicurazione sui mutui sub-prime (le agenzie di assicurazione Fannie Mae e Freddi Mac), la disoccupazione nel Paese a stelle e strisce sale come non mai da 26 anni a questa parte.
La ripresa invece stenta a decollare per lo meno nei termini percentuali che servirebbero al continente nordamericano e i soldi messi dall'Amministrazione sono svaniti nelle voragini dei bilanci in bancarotta.
Di contro Germania e Italia risultano essere i Paesi per primi usciti dalla Crisi, tecnicamente parlando e sono anche quelli che meno sono intervenuti nell'economia reale: il PIL torna a crescere dopo 5 trimestri negativi.
Consolidandosi detta ripresa l'incremento della discoccupazione verrà riassorbito dal ripristino dei livelli produttivi precedenti.
Certo ci vorrà ancora più di un trimestre ma gli ammortizzatori sociali, anche in Italia, restano all'avanguardia.
Da questa parte delle Alpi restano tutti i problemi di sempre, riforma fiscale, pensioni, giustizia, assetto costituzionale.
Ma con buona pace della CGIL e di un incauto Bersani, per fortuna un problema che non abbiamo è fare i conti con soldi freschi che non avevamo buttati in compagnie fallite.

venerdì 13 novembre 2009

Ayn Rand goes mainstream


by Kendra Marr


For some, she never went away. But Ayn Rand is having a mainstream moment.

Tea party protesters hoisted signs reading "Ayn Rand was right" and "Who is John Galt?" at the Sept. 12 taxpayer march. There’s talk that Angelina Jolie and Brad Pitt are attempting to bring "Atlas Shrugged" to the big screen. Nearly every major media outlet — including GQ and The Daily Show with Jon Stewart — reviewed the two new Rand biographies. South Carolina Gov. Mark Sanford (R) penned a piece on Rand's newfound relevance for Newsweek.

Rand has even gone prime time. In a sketch on Jimmy Fallon, recession-stricken audience members ate pages out of Rand’s books for sustenance. Chris Matthews, Glenn Beck and Rush Limbaugh all recommend her work. CNBC reporter Rick Santelli’s on-air tirade against government intervention made him a cult hero. He later explained: "I know this may not sound very humanitarian, but at the end of the day I'm an Ayn Rand-er."

While interest in Rand may simply be cyclical, this round comes at a time of renewed government intervention in the private sector — from bailouts to salary caps to health care reform. It’s an era of big government all too similar to the dystopia described in “Atlas Shrugged.”

Rep. John Campbell (R-Calif.), who counts Rand among his strongest influences, sees the interest as a natural development of the times. “What you’re seeing is a president and a Congress that very much favor collective over individual and believe we should all operate as units of a larger homogenous group,” he said, “rather than individuals with separate ideas and choice. When you see that kind of threat over the horizon, which it is right now, people begin to fall back on what has been learned in past and what has been written in the past.”

But Rand’s popularity almost crashed with the stock market. As the current economic catastrophe unfurled, former Federal Reserve chairman Alan Greenspan issued a mea culpa. The once-infallible Maestro — one of Rand’s most powerful disciples and once a member of her New York salons — admitted he had misplaced faith in the ability of markets to self-regulate.

When Jennifer Burns, author of new book “Goddess of the Market: Ayn Rand and the American Right,” heard that, she worried. “I thought, ‘Wow, Ayn Rand. Dead and buried forever.’ But she’s come roaring right back. People are not looking so much at the origins of the crisis, but the response to the crisis.”

And it’s not just more media attention. Penguin shipped more than 300,000 copies of “Atlas Shrugged” in the first half of 2009. Last year, the publisher distributed 85,000 books. When the Cato Institute hosted a forum last week for Burns and another Rand biographer, the audience nearly doubled the auditorium’s capacity. Chairs had to be set up outside, so people could watch it broadcast on television.

Rep. Kevin McCarthy (R-Calif.) picked up his magnum opus on Objectivism earlier this year and tweeted about it: “Still reading Atlas Shrugged — it’s quite the read.”

And in Campbell’s office, every departing intern is given a copy of “Atlas Shrugged.” “I point out to them that it’s not an easy read because it’s a long book and rather tedious at times,” Campbell said. “But I explain to them, it shows power of individual over the power of the state.”

Others fans in Congress include Rep. Paul Ryan (R-Wis.) and Rep. Ed Royce (R-Calif.).

“Our staff is very well read, from Ayn Rand to Friedrich Hayek to Hernando de Soto,” Royce’s press secretary Audra McGeorge wrote in an e-mail to POLITICO. “Their hope is to better understand the implications of what appears to be a drastic shift toward a government-run economy.”

True Randians see some inconsistencies though. “While they claim to be big fans and claim to support the ideas, they certainly don’t vote that way,” said Yaron Brook, president of the Ayn Rand Institute. “It’s an endless frustration to us.”

“Some people didn’t get the philosophical message,” said David Boaz, Cato’s executive vice president, who noticed that some readers simply digest the plots of “Atlas Shrugged” and “The Fountainhead.” “To them, it is an exciting novel about a woman who runs her own railroad or an architect who blows up his own building. But even if 10 percent get the philosophical message, that’s a lot of free marketers being created.”

The Ayn Rand Institute is not just maintaining a museum. It sponsored the Sept. 12 taxpayer march, and this year shipped 350,000 free copies of “Anthem,” “The Fountainhead” and “Atlas Shrugged” to high school teachers across the country. The institute’s annual “Atlas Shrugged” essay contest offers (what else?) cash prizes.

What makes 2009 the Year of Ayn Rand is that there’s a growing acceptance of the author’s most stringent beliefs. Her fans disregard that Rand hated compromise — and therefore politics. She was an atheist and disdained libertarians, whom she deemed hippies and plagiarists. (“Please don’t tell me they’re pursuing my goals,” Rand said in an interview. “I have not asked for, nor do I accept, the help of intellectual cranks.”)

Nick Gillespie, editor-in-chief of Reason.com and Reason.tv, media with strong Randian roots, said Rand would probably hate her current moment in the spotlight. “As much as she hated people, she saved her true ire for those who were actually fans of hers,” he said.

lunedì 9 novembre 2009

In Memory

Tovarish aderiamo alla linea del Politburo!


Forse c'è un errore nella fuga di notizie: davvero Berlusconi vuole accorciare la prescrizione nei processi per evitarsi di soggiacere ad una sentenza di condanna?
Pochi giorni fa, con sollievo, si apprendeva che non si sarebbe dimesso in caso di condanna...e allora? Perché rivedere la prescrizione che peraltro interessa milioni di persone finite anche loro - magari malgrado la loro volontà - tra le maglie di una macchina kafkiana come quella della giustizia italiana?
Possibile che non c'è spazio per una riforma della giustizia (separazione della carriere tra PM e Giudici, riduzione dei gradi, riforma del processo civile) al di fuori della normetta puzzona che fa finire in vacca la credibilità del Governo quando pure comincia ad agire con riforme efficaci (leggi la Riforma dell'Università)? No. Evidentemente no.
Non si capisce l'interesse del Presidente del Consiglio per una norma del genere, visto che lui stesso ha più volte ribadito che non si ricandiderà alle prossime politiche; certo in questa legislatura, i PM Rossi non riusciranno ad ottenere una sentenza passata in giudicato visto che ci volgliono molti più anni della scadenza naturale della legislatura per arrivare in Cassazione.
Allora non si capisce perché Berlusconi voglia spaccare tutto attorno a questa ennesima leggina che peraltro getta - questa sì - un ombra autoritaria sul suo atteggiamento nei confronti del partito e sulla sua interpretazione della parola Stato di Diritto: non è che uno ne possa cambiare i fondamenti a seconda della propria convenienza politica, questa è roba che capita in Sud America non in una democrazia avanzata come dovrebbe essere la nostra.
E poi...noi non dovevamo essere...liberali...
...quì con le dichiarazioni di intenti, pare di essere tornati alla riedizione delle adesioni sovietiche alla linea del Politburo stalinista.
Altro che.

venerdì 6 novembre 2009

La corsa dei gamberi


La tendenza è confermata, nella corsa dei gamberi l'Italia è in testa. O meglio è ultima.
Insomma in retromarcia ci stanno superando in tanti.
Le ultime notizie OCSE confermano come nel dopo Crisi, gli altri Paesi maggiormente industrializzati arretrano e l'Italia resta in testa tra quelli che ricominciamo a crescere.
Certo noi eravamo meno integrati nel sistema finanziario internazionale e il Credit Crunch ci ha solo sfiorato, abbiamo un sistema bancario che regge, un indebitamento privato tra i minori al mondo, risparmio...ma mettiamo i piedi per terra e ricordiamoci che abbiamo poco di più!
Non cresciamo dal 1992 allorché si decise di andare nel senso corretto del risanamento dei conti pubblici ma senza riformare il Bilancio dello Stato nei suoi centri di costo ovvero semplicemente riducendo i consumi e immettendo maggiori risorse da incrementi di tassazione.
Così quando arrivano le tregue fiscali dei Governi di Centrodestra i bilanci peggiorano.
Il fatto è che la missione della Destra italiana era e vorrebbe essere quella di risanare e rilanciare il Paese e ciò - senza voler tornare ai metodi vischiani - può essere fatto in un modo solo: devolevendo centri di costo del Bilancio dello Stato ai privati, tagliando le tasse e dando ai cittadini più libertà economiche, il corollario è lo sviluppo, la crescita.
Ai soloni della GB sta bene e non possono non darci un gusto sottile i professoroni inglesi, sempre tra i più accaniti ad impartirci lezioni, costretti a guardarci dal basso in alto, ma è difficile non essere d'accordo con loro quando sostengono il bisogno imprescindibile di riforme di cui necessitiamo.
Abbiamo il consenso, le idee e le persone per realizzarle. Manca solo la volontà?
Le notizie OCSE serviranno da puntello per il dolce far niente di Tremonti? Avremo perso un'altra grande occasione. Possiamo permettercelo?
Purtroppo, se il buon giorno si vede dal mattino, la resa dei conti Berlusconi/Tremonti sembra aver partorito un bel niente, basti pensare ai Niet in materia di riforma e graduale cancellazione dell'IRAP.
Il Paese resta inchiodato nelle solite pastoie, dando per acquisito un Bilancio dello Stato che non può e non deve essere considerato immutabile dovendo anzi essere sottoposto a revisioni in funzione delle possibilità della ricchezza diffusa nel Paese e dei tempi che questo vive.
Il Welfare spendaccione ed inefficace non è un dato di fatto, il sistema delle municipalizzate e delle utilites non lo è, nè il monopolio nell'erogazione di prestazioni pensionistiche. Al di là delle giavazzate sul recupero delle risorse da una giusta razionalizzazione degli incentivi a pioggia alle imprese, se lo Stato italiano devolvesse a concessionari le parti di spesa che possono a questi essere devolute (pensioni, spesa sanitaria, municipalizzate, ANAS, ecc. ecc. ecc.) si creerebbe e come lo spazio per un taglio serio delle tasse, IRAP e IRPEF incluso.
Non è chiaro in che posizione arriveremmo alla fine della corsa (quinti, sesti, ...) ma questo poco importa perché di certo vi arriveremmo.

venerdì 23 ottobre 2009

Se salta il coperchio al pentolone del Ministrone


"Sui conti pubblici linea del rigore", peccato che a dire ciò sia il Ministro dell'Economia che dopo gli anni '80 ne ha osservato il maggiore deterioramento in un lasso temporale tutto sommato ristretto. Roba da inflazione in doppia cifra! D'accordo la Crisi ma il Ministrone è riuscito con la sua ricetta del parlare socialista e di incensare il nostro sistema economico-assistenziale nell'invidiabile risultato di aver ereditato un debito pubblico al 106% ed in meno di due anni di averlo portato oltre il 115%, viaggiando dritto dritto verso il 120%.
Per onestà intellettuale, bisognerebbe ricordare come nel 1992 il debito pubblico italiano era al 137,50% e che con enormi sforzi al prezzo di una crescita asfittica che ci ha fatto perdere importanti punti in competitività eravamo riusciti a portarlo quasi sotto la soglia del 100%, un risultato storico.
Ebbene con le ricette tremontiane che piacciono tanto alla Lega (che in fatto di finanza del resto vanta successoni imprenditoriali nel sistema bancario di cui ancora si parla) siamo riusciti in neanche due anni a mangiarci i risultati di quasi diciassette anni di sacrifici.
Sul piano politico abbiamo rinnegato le nostre radici culturali per la "rivoluzione liberale" in favore di una visione para-liberale, sostanzialmente corporativa secondo la quale la stabilità viene prima di tutto.
MA QUALE STABILITA'?
Il Ministro dell'Economia ha scritto un bel libro, un successo editoriale, ma vive sulla luna.
La società italiana viaggia su un pentolone in ebollizione che non salta solamente in virtù dell'innalzamento del deficit e quindi del debito.
Se non vogliamo raccontarci favole esistono solo tre ricette: quella autarchica dello stato di polizia tributaria alla sceriffo di Nottingham (Visco per intenderci), la bancarotta argentina o la ricetta thatcheriana-reaganiana, via centri di costo (esternalizzare funzioni come la spesa previdenziale o quella sanitaria), indietro lo Stato (privatizzare il privatizzabile, inserire concorrenza laddove esistono ancora monopoli specie nei comparti economici occupati dalle aziende municipalizzate), giù le tasse, più libertà economiche per spingere la crescita e pagare i debiti. Poi anche le coperture giavazziane vanno bene, ma tertium non datur.
Ma si sa nella battaglia politica va tutto bene, quello che non va bene sono le parole che contraddicono i fatti, in discussione caro Ministrone non è certo il rigore sui conti pubblici, pesantemente compromesso da scelte di facciata e belle parole, bensì la tenuta economica nel breve e medio periodo del Paese, se salta il coperchio al pentolone vattelapesca poi la stabilità.

domenica 18 ottobre 2009

Not Evil Just Wrong



"Not Evil Just Wrong" è un film che dice cose scomode sulle presunte verità di Al Gore in barba al verbo hollywoodiano.
Spiega in termini pratici i costi umani dell'isteria scatenatasi attorno al presunto surriscaldamento globale e alla fine dei tempi che starebbe per arrivare per colpe umane.
Spiega come la propaganda catastrofista genererà un incremento di tasse che finirà per gravare sulle famiglie proprio nel momento in cui queste sono costrette ad affrontare le asprezze della Crisi economica più dura dalla Grande Depressione.
Gli accoliti di Al Gore vogliono vietare l'uso dei combustibili fossili producendo così un disastro economico capace di spostare ulteriormente l'ago della bilancia dello sviluppo globale a favore di paesi come l'India e la Cina.
"Not Evil Just Wrong" è un modo di resistere, di oltrepassare il muro di gomma del mainstream del circo mediatico, da sempre incline a prendere per oro colato ogni assalto al valore dell'essere umano in quanto tale ed a propagandare un idea di umanità=male che tende a negare la innata vocazione a creare valore, benessere, armonia dell'uomo in un mondo creato per che esso ne sia centrale.
Questo è il trailer, non è per elites illuminate, è per tutti noi, uomini e donne in carne ed ossa.

lunedì 5 ottobre 2009

Della crisi economica Ayn Rand aveva già previsto tutto


Pubblicato su www.loccidentale.it 2/10/2009

Aziende che falliscono una dietro l’altra, difficoltà nell’assicurare servizi che sino a ieri si davano per scontati, come i trasporti o il gas, l’acqua, la luce; uno Stato e dei Governi che si sostituiscono agli individui nel gioco economico; un mondo della cultura piegato ad una visione nihilista e ad una gara allo svilimento del valore dell’uomo.

Bisogna essere molto ottimisti per dirsi che non ci sia qualcosa degli incubi oscuri che si nascondevano dentro la mente di Ayn Rand quando scriveva “La Rivolta di Atlante” e “La Fonte Meravigliosa”, negli sviluppi che è dato osservare dalla Crisi in cui l’occidente si è impantanato.

Esule russa che fuggiva dalla follia sovietica, arrivò nel paese a stelle e strisce e vide un America che cambiava pelle, che si interrogava sul suo futuro e si preparava ad affrontarlo senza paura; la crisi del ’29 e la guerra, il successo, il benessere e poi però il crescere di una deriva collettivista che la preoccupava per la possibilità che essa aveva in sé di spegnere il sogno americano e la vocazione libertaria degli States: l’unica nazione nella storia ad essere diventata tale attorno ad un’idea, quella della libertà e del benessere dell’individuo.

Il fatto è che nel suo romanzo capolavoro, un romanzo che resta ancora oggi tra i libri più venduti negli Stati Uniti d’America e che è stato eletto il secondo libro più influente, dopo la Bibbia, fregiandosi della nomina da parte della Boston Public Library tra i cento libri più importanti del XX secolo, il fatto è che “Atlas Shrugged” (“La rivolta di Atlante”, Mondadori, Volume I – Il Tema - pagg. 378, Volume II – L’Uomo che apparteneva alla terra - pagg. 395, Volume III – L’Atlantide - pagg. 515), le sequenze di film che stanno andando in onda nelle nostre vite - le file davanti alle banche per ritirare i contanti, le serrande semichiuse dei fallimenti improvvisi - tutto questo in “Atlas Shrugged” è ritratto doviziosamente e con decenni d’anticipo ma non solo, Ayn Rand preconizzò e già da allora (il romanzo è del ) lo sbocco della crisi di un sistema capitalistico piegato dall’avidità dello Stato e di uomini malvagi (naturalmente in combutta), uno sbocco luminoso.

Ayn Rand previde un tempo in cui sotto il peso del loro fallimento, gli Stati sarebbero stati costretti ad occuparsi esclusivamente della sicurezza e dell’amministrazione della giustizia, uno Stato dalla leva fiscale volontaria e poco più che avrebbe finito per finanziarsi attraverso la cooperazione volontaria degli uomini, una società completamente – o quasi – privatizzata dove il ceto politico fosse ridotto, o meglio ricondotto, alla sua antica ispirazione di fucina di amministratori pro-tempore della cosa pubblica.

Ma al di là della scommessa sul futuro di una autrice scomparsa nel 1982 e divenuta da subito molto più che una scrittrice, le analogie tra il nostro tempo e le profezie di Ayn Rand non sono sfuggite all’acume commerciale della casa editrice iUniverse che ha deciso di mandare in ristampa il libro di Frederick Cookinham, “The Age of Rand: Imagining an Objectivist future world” (2005, pagg. 488).

Cookinham si sforza di trovare i legami tra il passato, il presente e il futuro narrati nelle storie di Ayn Rand e il posto, in una prospettiva storica, del suo pensiero: la filosofia dell’Oggettivismo.

L’autore immagina un mondo che scorra come la Rand lo aveva immaginato, esaminando differenti implicazioni sotto il profilo sociale. Il tutto è naturalmente basato su una fantasia utopica, ma supportato con esempi presi da eventi storici e trend di lungo periodo.

Momento centrale del libro, come dell’opera della filosofa dell’oggettivismo è l’analisi della vera natura dell’altruismo “di Stato”, in una tensione a smascherare l’inganno dietro il solidarismo a buon prezzo contrapposto all’egoismo virtuoso di aristotelica memoria.

Un lavoro scorrevole e non necessariamente consigliabile solo ai già lettori dei libri di Ayn Rand, che scoperchia, come riesce, una ipotesi di futuro che per la logica socialdemocratica è simile ad un incubo ultra-liberista, per i liberali una bella utopia, per i libertari un sogno.

Nel 1964 durante una celebre intervista al Magazine Playboy, Ayn Rand a domanda rispose

"Do I think that Objectivism will be the philosophy of the future? I would say yes, but…not right now.”,

Per Cookinham invece il futuro è adesso.

giovedì 24 settembre 2009

Non date spazi al Circo barnum


No ragazzi Roark non vuole parlare degli animalisti sul piede di guerra, non si vuole spendere contro il Circo o contro i maltrattamenti agli animali, il Barnum che lo intriga di più è quell'orrenda sceneggiata che si dimostra ancora una volta essere l'assemblea delle nazioni unite, qualcosa a metà tra una notte degli Oscar, un pletorico soviet, una incredibile vetrina per gli sproloqui dei dittatori di tutto il mondo e naturalmente le belle parole dei capi di Stato e di Governo occidentali che non possono permettersi di perdere occasione per scagliarsi contro nemici invisibili (il Global Warming) ovvero duellare contro la povertà nel mondo.
I gomiti piegati e palmi dele mani in su in atteggiamento di preghiera di Ban Ki Moon, lo sguardo incazzato di Hatoyama che sembra qualcuno gli abbia appena rubato il portafoglio, il pupazzo di Hu Jintao che profonde parole rassicuranti, l'entrata di "The Man" stile campione dell'NBA e poi loro Morales, Chavez, Ahmadinejad, Gheddafi e vai col tango.
Posto che come al solito la sifda fotografica la vince Barack, maestro nel saper sfoggiare la mascella quadrata in queste circostanze e le spallucce quando l'esercito magari gli chiede più uomini e posto ancora che non è certo la prima volta che assistiamo a questi spettacoli la recente assemblea ha però il merito di essere riuscita a sconfinare nel grottesco.
Le vaccate di Ahmadinejad hanno prodotto il solito abbandono della sala (meno male) delle delegazioni occidentali (non tutte però gli svedesi no), Zapatero ha scelto uno stile hip hop minimal e alla fine ha fatto tenerezza, interessante invece il sovrappeso che ha palesato Hillary Clinton, ma il teatrino di un Gheddafi in formato Michael Jackson ultimo stadio è stato qualcosa da ricordare: bigliettini, libretti, parole incomprensibili. Eccezionale.
Poi attori, ex non-Presidenti alla Al Gore, il Barnum insomma.
La decisione che verrà adottata in materia di inquinamento sarà quella di doversi rincontrare per adottare altre decisioni.
Dato per scontato come non è che ci sia davvero il Global Warming, siamo sicuri di avere bisogno di tutto questo?

L'imprenditore di Pordenone - Corriere della Sera

L'imprenditore di Pordenone - Corriere della Sera

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lunedì 21 settembre 2009

venerdì 11 settembre 2009

Non facciamo gli struzzi


Diciamocela una cosa.
La partita che sta giocando Fini ha poco a che vedere con la leadership berlusconiana o con l'azione di questo Governo. Ha molto a che vedere con il futuro del PDL. Certo ha a che vedere con il futuro politico di Fini ma ha molto più a che vedere con il futuro del PDL.
C'è un determinismo anagrafico ineluttabile cui rifiutarsi di prendere atto significherebbe mettere la testa sottoterra come gli struzzi.
Quando Silvio non sarà più Presidente del Consiglio - visto che per sua stessa ammissione non si ricandiderà e questo giorno sarà tra quattro anni quando avrà raggiunto la veneranda età di 76 anni - non si tratterà solamente di trovare il modo giusto per selezionare un leader che vada bene alle oligarchie interne e che possa intendersela con la Lega, si tratterà di strutturare un dialogo tra i vari pensieri politici che animano la base del partito, pena la fine di tutto e il trionfo del Grande Zentro!
Oggi tutto questo pare non serva perché Berlusconi riassume o per lo meno prova a riassumere culturalmente tutti o quasi, ma domani le cose saranno diverse.
Non potrà esistere una personalità dotata dell'eccezionalismo del Presidente del Consiglio a meno che non si preveda di affidare le scelte politiche del partito per i prossimi dieci anni ad un ologramma preregistrato che funga da oracolo!
Cominciare un dibattito politico anche aspro e non nascondersi dietro un dito è un buon inizio. Darsi regole democratiche nel partito è l'unica speranza che questo ha di sopravvivere all'uscita dalla scena politica del suo fondatore e ispiratore.

venerdì 4 settembre 2009

Oltre il linguaggio da Caserma


Come un lampo nel deserto, l'intervista ieri rilasciata dal Ministro degli Esteri Frattini prova a spaccare la coltre plumbea, l'afa soffocante che attanaglia molto di più che semplicemente questo finire dell'estate.

Parliamo di PDL per una volta. Parliamo del nostro futuro.

Il PDL deve rimanere un partito pluralista, dalle molte voci, senza che chi sia evidentemente in minoranza debba essere trattato da matto, da svagato o sedizioso perché "fuori linea".

Per una vita da questa parte ci si è battuti contro il pensiero unico comunista, sarebbe paradossale oggi cercarne di editarne una riproposizione paradossale.

Frattini parla giustamente di modificare la direzione del partito da triumvirato a leader unico, parla di immigrazione appoggiando le posizione del Presidente della Camera Gianfranco Fini e da ultimo nelle sue parole si respira un liberalismo di fondo troppo sacrificato in questo inizio di PDL e di azione dell'esecutivo all'asse Tremonti-Lega che se assicura la governabilità ne limita senz'altro gli obiettivi di riforma.

La Lega di oggi non è più un partito riformista infatti ma il tentativo di costruire un nuovo centralismo nord-centrico su base socialista: gabbie salariali voglino dire salari minimi, altro che federalismo liberale! Semplicemente un sistema per avere il permesso di creare nuove tasse, vedi il progetto calderoliano di nuova tassa unica sulla casa.
Nel medio termine dovranno pur certo spiegarlo all'elettorato costituito dalla piccola imprenditoria delle provincie settentrionali ma se per Tremonti tutto ciò è funzionale al suo conservatorismo compassionevol e va detto un conservatorismo funzionale a tutti tranne che ai conti dello Stato, per il PDL questa è la tomba della sua ispirazione liberale.

Riprendere il timone in mano, rispolverare le battaglie liberali e liberiste che ispirarono l'entrata in politica di Berlusconi nel '94 è un tentativo che all'interno del partito va tenuto vivo, che sia Frattini a tenere alta la bandiera sarebbe davvero una buona notizia.

Servirebbe al partito a tenere al suo interno e nel Paese un dibattito vivo e salutare e aiuterebbe a tenere alta la guardia contro la trasformazione del PDL in una nuova Balena Bianca para-liberale che governi per governare, qualcosa di cui non sembriamo proprio aver bisogno.

martedì 14 luglio 2009

lunedì 13 luglio 2009

Quanto Grande deve diventare la spesa governativa per essere realmente obamiana?


Nella giornata di ieri una notizia ha attraversato le agenzie di stampa statunitensi, la amministrazione Obama sta considerando di estendere il metodo del bailout anche ai piccoli business.

Nei suoi auspici la mossa servirebbe a permette di accedere al fondo di $700 bilioni anche per milioni di piccole iniziative commerciali.

L’iniziativa è senza precedenti, una tale limitazione del private business da obbligare a cambiare la definizione di Economia Liberale in qualcosa di diverso, un provvedimento che non si sognerebbe di proporre nessun Governo europeo anche in regime di Economia Sociale di Mercato, così come viene definito il sistema europeo.

Dovesse entrare in vigore un tal provvedimento vorrebbe significare per il Governo Americano, la chance di subentrare in qualsiasi esercizio commerciale, un qualcosa che rievoca sinistramente quella iconografia squallida del socialismo comunista russo che voleva anche le panetterie fossero pubbliche e che i generi alimentari fossero ritirati con le tessere concesse da Sua Eminenza lo Stato ovvero ilPCUS proprietario di tutto proprio tutto.

Finalmente anche qualche osservatore non smaccatamente conservatore comincia a levare gli scudi contro una amministrazione che di sorriso in sorriso, facendosi scudo con la crisi, rischia di realizzare il peggio partorito dalla ideologia malata del socialismo americano alla Jesse Jackson.

Ma se la riforma del comparto sanitario rappresenta la sifda delle sfide, un ultimo baluardo a questo punto rimasto a garantire la diversity della nazione indispensabile, essa resta pur sempre una sfida meramente politica combattuta su un terreno politico, questa dei bailout no, essa rappresenta qualcosa di altro.

Si tratta di rinnegare la tutela della property in nome di una stability addossata ai taxpayer di oggi e domani, secondo una libera interpretazione dei fatti di una amministrazione pro tempore che rovescia, senza pensarci tanto, uno dei tre cardini della Costituzione Americana, Life / Liberty / The Pursuit Of Happiness, nei secoli tradotta come il diritto alla tutela della private property dalla longa manus di uno Stato Avido prima che Etico.

Robert J. Samuleson, dalle colonne del Washington Post http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/07/12/AR2009071201533.html?wpisrc=newsletter si chiede preoccupato la domanda che tutti gli americani dovrebbero porsi, quanto Grande gli americani vogliono diventi la spesa governativa? Se qualcuno non ha ancora razionalizzato, il governo illuminato di Barack Obama sta per lanciare un OPA permanente sulla economia privata statunitense, qualcosa che gli americani si porteranno dietro per molto tempo ancora dopo che la Crisi di questi anni non sarà che un pallido ricordo.

Il giorno dopo il passaggio di un tale provvedimento, la buotade sulla trasformazione degli Stati Uniti di America nella Unione degli Stati Uniti Socialisti di America non sarà più una boutade, ma una triste proto realtà per tutti coloro che amano gli Stati Uniti per quello che sono sempre stati, The Land Of The Free.

giovedì 2 luglio 2009

Il limite del parossismo


Succede che il mio pezzo Contro il Nuovo Culto apparso nei giorni scorsi sulla rivista on line della Fondazione Fare Futuro www.ffwebmagazine.it sia stato ripreso dal mainstream della stampa nazionale scatenando un vespaio di veleni e polemiche.
Il sottoscritto avrebbe infatti prestato la sua voce ad una sediziosa fronda interna al centro destra italiano suscitando irritazione e stizza.
Tutto ciò siccome il pezzo era una mera recensione su The Cult of the Presidency: America's Dangerous Devotion to Executive Power di Gene Healy, editorialista del Los Angeles Times e del Chicago Tribune, dove si parla di stile ed esercizio del potere.
Ho sempre pensato debba esistere un limite nella politicizzazione dei fatti rappresentato dal rischio di cadere nel parossismo. Evidentemente mi sbagliavo.
Ma per il fatto che mi sbagliavo certo non intendo limitare la mia libertà di esprimere un personale parere, che non vincola e obbliga nessuno, tanto meno gli amici di Fare Futuro che ringrazio per la solidarietà e le dovute precisazioni.



http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200906articoli/45027girata.asp
http://archiviostorico.corriere.it/2009/giugno/30/Farefuturo_attacca_Basta_Caligola_Irritazione_co_8_090630020.shtml
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/06/30/fini-nessuna-crisi-maggioranza-solida.html
http://taggatore.com/articolo/governo-fare-futuro-non-tirateci-per-la-giacca-nessun-secondo-fine
http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.asp?ImgPath=immagini/Foto/1presidential_seal_int.jpg&Cat=1&Art=1799&StrMotore=giampiero%20ricci&TitoloBlocco=Risultato%20della%20Ricerca&page=1

venerdì 19 giugno 2009

Referendum, votare SI per dimenticare


Se volete davvero interrogarvi sopra questa marea che si sta abbattendo contro il Presidente del Consiglio non dovete andare molto lontano.
Domenica e Lunedi si tiene un referendum capace, ove accolto dalla maggioranza degli italiani, di spazzare via per sempre un costume e un assetto politico, mediatico, affaristico, su cui il sistema conta e contava per poter perpetrare il proprio parassitismo ai danni di tutti i tax payers italiani.
Ma il Presidente ha sottovalutato il passaggio o peggio, per debolezza politica, lo ha glissato, di fatto mandando a quel paese quella ultima speranza di riforma che rimaneva agli illusi del 1994 come Roark.
Ecco che dopo reaganismo, liberismo, taglio della spesa pubblica, riduzione drastica delle aliquote fiscali, finisce in soffitta pure il bipartitismo, il tutto in nome di un governo che per quanto senza infamia o senza lode si stia comportando, certo non adempie al mandato politico del suo elettorato per un cambiamento radicale, vero senso del voto al centrodestra negli ultimi 15 anni.
Attacchi, insulti, giustizia ad orologeria, menzogne, spiate, vigliaccate, disonesti a tutta birra, moralisti, finto inquisitori, speculatori e via di questo passo, si sono messi di traverso da sempre da momento della discesa in campo del Cavaliere ma non hanno mai avuto successo per il semplice fatto che la gente era con lui, disposta a seguirlo, anche turandosi il naso su alcune evidente contraddizioni e/o conflitti di interesse, il tutto in nome di una cosa, le riforme e non il suo bel sorriso che non ha mai ipnotizzato nessuno.
Ora che chiaro che queste riforme non verranno al Presidente del Consiglio viene a mancare lo scudo del sostegno popolare incondizionato che prelude la fase di inzio del sospetto.
Probabilmente troppo tardi per Berlusconi per cambiare strada, per noi cittadini invece no, votare SI al referendum rappresenta una ultima chiamata valida per restituirci un futuro attraverso un sistema politico bipartitico, stabile e omogeneo, per fare in modo che il sistema della alternativa al governo del Paese resti anche dopo la fine della stella berlusconiana.
VOTARE SI.

martedì 19 maggio 2009

Ok tutto bello ma il debito chi lo paga?


Con il debito pubblico che viaggia alla grande e promette di andare alle stelle per il minor gettito fiscale che necessariamente si otterrà vista l'ennesima splendida performance di crescita del sistema Italia (-5%) resta da capire se sia arrivato finalmente il momento di ripensare le certezze "etiche" del nostro Tremonti.

E si perché parlare di "etica" come ha fatto Tremonti nel suo libro manifesto "La Paura e la speranza" può aiutare a diventare digeribili dalle nomenklature dei grandi quotidiani nazionali, può portare i voti dei ben pensanti che affollano il nostro paese, ma non aiuta certo ad alleggerire dalle giovani generazioni e dal nostro futuro la tara del Debito Pubblico.

Questa mattina un altro ben pensante, il liberal Giavazzi, invoca riforme. Roark è d'accordo, ma quali riforme: l'aumento dell'età pensionabile, la riforma degli ammortizzatori sociali, rifare lo Statuto dei lavoratori, non sono riforme, sono provvedimenti di buon senso.

Le riforme economiche che il paese deve affrontare sono ben più strutturali, c'è finalmente da chiedersi perché in Italia da quando è diventato acclarato che il debito accumulato sia divenuto irredimibile, non si sia anche pensato a soluzioni tipiche per chiunque abbia un grosso debito: attingere al patrimonio, ridurre i costi per massimizzare gli avanzi di cassa.

Noi no. Noi continuiamo a spendere e ci beiamo del fatto che la crisi per noi sia più leggera che per gli altri. Ok tutto bello ma il debito chi lo paga?

E' arrivato il momento di capire e raccontare come per le nostre entrate le spese e le aree di intervento che lo Stato si è ritagliato non siano più finanziabili, sceglierne alcune e tagliare le altre non per abbandonarle, ma magari per cederle in concessione ai privati (e questo a partire dal sistema previdenziale ed a seguire con il sistema sanitario) è l'unica soluzione l'alternativa è il delirio dello Stato di Polizia Tributaria che sogna Vincenzo Visco, non c'è una terza strada.

Si parlava nel programma del PDL di abolizione delle provincie (ma la Lega non vuole), di privattizzazione delle municipalizzate (ma la Lega non vuole), di tutto e di più (ma la Lega non vuole) e delle riforme vere del bilancio dello Stato: in questo primo anno del secondo Governo Berlusconi di esse non vi è traccia.

Resta il consenso a Berlusconi - destinato rapidamente a calare - e la eco degli applausi a Tremonti - destinati a perdersi nell'impietosa contabilità di un altro fallimento - e poco più.

Cosa stiamo aspettando? Se la coalizione (leggi la Lega) impedisce le riforme, che lo si dica forte e che si abbracci il referendum del 21 giugno e poi basta una volta per tutte.